martedì 12 dicembre 2017

Lezione del 12 dicembre 2017

Con la sconfitta di Napoleone nel 1814 si apre la fase della restaurazione. Tale evento determina una grande trasformazione per tutta l’Europa, in considerazione anche della grande espansione che aveva raggiunto l’impero napoleonico. La restaurazione dell’ordine politico dell’Ancien régime non poteva certo permettere il permanere di molte innovazioni introdotte dalla Rivoluzione francese e consacrate nel Codice di Napoleone che fu vigente anche nei territori conquistati dalle armate francesi in Europa continentale.
Tuttavia, dal punto di vista giuridico, permasero anche molti elementi frutto della parentesi rivoluzionaria europea, primo fra tutti le costituzioni. Esse tuttavia, come la Charte della Francia restaurata o lo Statuto albertino del 1848 conservarono un elemento di differenza rispetto alle costituzioni rivoluzionarie: non erano enunciazioni di diritti emanate da un potere costituente ad hoc ma erano il frutto di una concessione del sovrano al proprio popolo, il quale sceglieva, consapevolmente di autolimitarsi. La ragione della permanenza di queste costituzioni nonostante la restaurazione è insita nella irrequietezza che caratterizza il XIX sec., attraversato sia da istanze di tipo reazionario tendenti al ritorno allo status prerivoluzionario, sia da istanze progressiste dirette al perfezionamento delle novità derivate dalla rivoluzione. Le istanze romantico- reazionarie portarono, ad esempio, ad una rinnovata promozione della spiritualità in opposizione alla compressione illuministica della funzione pubblica della religione, relegata dalla rivoluzione francese a mero elemento interiore dell’individuo. In generale, si riscontrano, nella stessa ottica reazionaria, istanze nostalgiche nei confronti del medioevo e dell’antico regime.
L’Europa ottocentesca conobbe, al lato opposto, vari momenti insurrezionali – moti del 1820 e 21; 30 e 31, del 1848- caratterizzati dalla forte avversione alla restaurazione, dal ruolo centrale del popolo nella vita collettiva e da un utopismo verso un assetto nuovo, che vede nella rivoluzione francese il passo fondamentale verso il progresso. Di fondo vi è l’idea che i popoli post rivoluzionari hanno acquisito la consapevolezza di un possibile diverso ordine dello stato. Durante detto secolo comincia, infatti, ad affacciarsi sul panorama europeo il pensiero socialista, concretizzatosi nella pubblicazione del manifesto del partito socialista del 1848.
Uno dei problemi al centro del dibattito ottocentesco è quello relativo al potere costituente, al soggetto nelle cui mani detto potere viene concentrato e delle possibilità di modifica o sospensione dei diritti con esso sanciti. Secondo Carl Schmitt ad esempio, il soggetto posto a chiusura dell’ordinamento è proprio quello nelle cui mani viene concentrata la facoltà di decidere circa lo stato d’assedio, giacché esso è, in definitiva, sovraordinato rispetto alla costituzione stessa, avendo il potere di sospenderla nei casi di necessità.
L’ Ottocento è un “secolo fortemente giuridico”. Le dottrine e le esperienze ottocentesche impregneranno di sé il pensiero giuridico contemporaneo determinandone lo sviluppo.
La comune esperienza è rappresentata dalla codificazione. L’atteggiamento nei confronti del codice è tuttavia differente a seconda del paese di attuazione, potendosi registrare una esperienza parallela rispetto al modello improntato sul codice napoleonico.
Nell’ impero asburgico, ad esempio, il codice “borghese” del 1811 risentì al tempo stesso della mancata esperienza della rivoluzione, che era stata fondamentale per l’abolizione delle differenze di ceto e la radicale unificazione della società, e dell’assolutismo illuminato, ispirato dalle dottrine kantiane.
La Germania, invece, prima dell’adozione del BGB nel 1900, operò una scelta diversa.  Nel 1814 essa si sottopose ad un acceso dibattito sulla convenienza o meno di adottare una codificazione. V’è anche da considerare il connesso problema che, in generale, si pose alla scienza giuridica dell’Ottocento, intenta ad indagare circa il ruolo più o meno creativo del giurista e l’essenzialità o meno del suo operato ai fini della completezza del sistema. In questo contesto, si contrapposero le soluzioni di due grandi giuristi dell’epoca: Thibaut e Savigny. Thibaut propose una codificazione unitaria per tutta la nazione tedesca: voleva creare, secondo il modello universalista illuminista, mediante un’operazione razionale un’infrastruttura giuridica valida per tutti i principati tedeschi, con l’obiettivo eminentemente economico di facilitarne gli scambi commerciali. Egli era convinto, da buon romantico e nazionalista, della germanicità unitaria di tutti i popoli tedeschi. Dal canto suo, von Savigny riteneva che la giuridicità di una norma non dovesse derivare dalla razionalità o dall’imposizione formale di una legge ma dallo spirito del popolo stesso – nel senso peculiare di élite culturale educata alla consapevolezza storica-, che riconosceva una regola come giuridica e dunque vincolante. In altre parole, il diritto vigente, secondo Svigny, sarebbe dovuto derivare dalle visioni del mondo del diritto stratificate nella coscienza del giurista il quale doveva osservare come i diversi giuristi avevano commentato e applicato gli istituti del diritto romano. Ciò che avrebbe accomunato i popoli tedeschi, dunque, non sarebbe stata l’imposizione della razionalità di un sistema artificiale ma la loro tradizione comune, la storia.
Savigny aveva maturato la propria posizione a partire dalla sua prima pubblicazione sul possesso nel diritto romano nel 1803. Nel 1814, anno della polemica, egli ripropose la sua metodologia di studio dell’istituto del possesso attraverso l’osservazione di come esso era stato utilizzato dai giuristi romani e, successivamente, commentato dai giuristi medievali, ritenendola applicabile a tutti gli istituti. L’identità giuridica dei popoli risiedeva nella storia ed in essa andava ricercata. In questa ricerca, la scuola storica di Savigny si “appropriò” del diritto romano, usando le fonti del diritto civile antico per costruire un diritto civile tedesco. Il diritto romano, dopo una minuziosa ricerca delle fonti necessarie a ricostruirne il volto originario, venne riproposto attualizzato come diritto vigente. La nuova scienza romanistica riorganizzò i concetti del diritto romano estraendo quelli più importanti e ponendoli alla base di un nuovo sistema di diritto civile. Così, sul piano culturale, l’unità tedesca si realizza molto prima dell’unificazione politica.
In Italia la situazione si presenta oltremodo frazionata: molti stati mantennero il modello del codice napoleonico: il Regno delle due Sicilie promulgò il proprio codice già nel 1819 e quello di Sabaudo nel 1837; rimasero avulsi da tale sistema il Granducato di Toscana, influenzato dal dibattito tedesco, e il ducato di Milano, parte dell’impero asburgico. 
Complessivamente si può, tuttavia, affermare che quasi tutta l’Europa continentale operò la scelta per un diritto codificato, un diritto, cioè, razionalmente semplificato che aveva abbandonato il complesso sistema del diritto comune.
Il codice venne, però, adattato alla condizione politica e culturale dei diversi stati in cui venne adottato. Nel Regno di Napoli, ad es., si abolì il divorzio e tornò in auge la preminenza del potere patriarcale nel campo del diritto di famiglia e successorio.

A cura di Chiara Casuccio

1 commento:

Anonimo ha detto...

GRAZIE per la rapidità. apprezziamo moltissimo.