martedì 12 dicembre 2017

Lezione dell'11 dicembre 2017

Verso la fine del XVIII secolo si assiste ad un passaggio fondamentale nella storia istituzionale moderna. Nato dal fermento ideologico e storico, esso segnerà la più grande cesura rispetto ai sistemi di antico regime: la creazione di una serie di costituzioni scritte, sistemi, cioè, di norme sovraordinate alla legge e preposte al funzionamento degli stati nazionali.
Vi sono tre grandi tappe della creazione costituzionale:
-       La Dichiarazione di indipendenza americana del 1776
-       La Costituzione americana del 1787
-       La Dichiarazione dei diritti dell’uomo francese 1789.
Nonostante gli evidenti tratti comuni costituiti dall’oggetto delle moderne costituzioni -la costituzione di uno stato di diritto mediante l’imposizione di limiti al potere dello Stato e l’istituzione di maggiori garanzie per i cittadini-, il modello anglosassone di costituzione si atteggiò, tuttavia, in modo parzialmente diverso rispetto al modello costituzionale continentale. Tale diversità è dettata in primo luogo da un diverso substrato ideologico e culturale: da un lato, il pragmatismo anglosassone teso alla risoluzione di problemi concreti, come quello primario dell’imposizione fiscale, rese la costituzione americana un modello di costituzione fortemente “individualista”, rifiutando l’idea di uno Stato-regolatore della società e dell’economia; al lato opposto, il diverso concetto di benessere, legato alle teorizzazioni della moderna scienza economica -v. A. Smith- portò alla statuizione di principi differenti da quelli enfatizzati durante la rivoluzione francese.
Secondo il modello anglosassone, infatti, la ricchezza delle nazioni non è centrata sulla proprietà, come nella codificazione francese, di poco successiva, ma sull’efficienza degli scambio e della circolazione del credito: in tale ottica di forte fiducia nella intrinseca capacità degli individui di crescita economica, la costituzione americana e, prima ancora, la Dichiarazione di indipendenza, esaltarono la libertà dei commerci e quella individuale nel perseguimento dei propri interessi riducendo al massimo la possibilità dello Stato di intervenire nella regolazione del settore.
A differire dalla nozione “tradizionale” non era soltanto l’idea di benessere, ma la stessa idea di proprietà: nel sistema anglosassone essa non rappresenta un potere assoluto sulla cosa, la è un diritto reale fortemente frazionato, limitato da elementi temporali o da diritti altrui sulla cosa.
Un altro elemento di differenza rispetto al modello francese, legato al pragmatismo anglosassone e all’idea di Stato fortemente individualista, è la centralità della questione dell’imposizione fiscale e della legittimità delle norme impositive costituite senza la partecipazione dei rappresentanti dei diversi ceti della società.
In entrambe le esperienze, americana e francese, inoltre, si pose come centrale il problema della separazione dei poteri, elemento indispensabile per evitare che il potere si converta in dispotismo. Il modello ideale di stato era rappresentato, secondo le teorizzazioni franco-rivoluzionarie, dall’Inghilterra, il cui equilibrio nella separazione dei poteri era stato già evidenziato dal filosofo J. Locke. Il modello monarchico di identificazione nazionale venne, tuttavia, meno nel caso americano e, in un certo periodo, anche in quello francese.
Nonostante il forte radicamento delle dottrine illuministe in Francia, il monarca contro cui avvenne la rivoluzione fu un monarca molto diverso da quello teorizzato sul modello inglese. Luigi XIV e i suoi predecessori, infatti, non si lasciarono mai affascinare dal pensiero illuminista traducendolo in concreto modello di governo: prova ne è che la convocazione degli Stati generali, le assemblee rappresentative dei diversi stati sociali, non fondate sul modello democratico ma su quello medievale della corporazione, ai tempi della rivoluzione, non avveniva da oltre 150 anni – 1614-. Solo nel 1789, per la prima volta dopo decenni di inattività vennero riconvocati gli Stati generali.
Il peso ormai insopportabile del sistema di vincoli alle persone ed alle cose imposto dall’antico regime, ed il crescente fermento sociale sono testimoniati da una serie di documenti prodotti dalle assemblee locali, i cd cahiers des doléances, Essi sono, in altre parole, le critiche sollevate dalla nazione stessa contro lo stato, e tutte le manifestazioni del potere signorile feudale che determinavano la costrizione dei ceti meno abbienti e l’inalterabilità della loro condizione, l’inefficienza della giustizia, la tassazione troppo alta etc.
Il momento di rottura, che portò alla presa della Bastiglia il 14 luglio 1789, è rappresentato dalla chiusura definitiva degli Stati generali da parte del re. L’assetto costituzionale che si stabilisce con la Dichiarazione dei diritti dell’uomo del 26 agosto, è tipicamente rousseauiano: vennero distrutti tutti i simboli dell’antico regime e una grande assemblea nazionale, sottratta alla possibilità di scioglimento da parte del re, venne posta a controllo di tutte le attività di governo, esercitando tale potere mediante la legge; il governo ed i magistrati attuavano, così, la legge alla stregua di macchine, senza avere la possibilità di incidervi. Con la legge si perseguiva ogni tipo di intervento del potere del popolo sulla sua propria nazione; qualsiasi attività di governo e gestione doveva essere enunciata mediante lo strumento della legge che le autorizzava. L’attività di governo non autorizzata era illegittima ed in quanto tale doveva essere soppressa; l’esercizio del potere giudiziario doveva consistere nella meccanica applicazione della legge senza possibilità di interpretazione, estensione, ragionamento analogico e, nei casi dubbi, il magistrato doveva rivolgersi direttamente all’Assemblea per ottenere un’interpretazione autentica della norma - référé législatif.
Il 4 agosto 1789 erano, inoltre, stati aboliti tutti i diritti feudali senza indennizzo. Insieme al principio della legge quale espressione della volontà popolare vennero, dunque, affermati con forza i due diritti fondamentali compressi dal sistema dell’antico regime: la libertà e la proprietà.
La prima fase rivoluzionaria è, dunque, una fase fortemente istituzionale in cui la legge, insieme alle procedure e al processo viene posta a tutela delle libertà individuali: esse rappresentano, infatti, la necessaria intermediazione tra potere e individuo. In particolare, la legge è il modo formale con cui lo Stato predetermina le regole che nemmeno lo Stato stesso può violare.
Tuttavia, la preminenza del potere legislativo su quello giudiziario ed esecutivo, determinando, di fatto, uno squilibrio tra poteri, produsse, ben presto un cortocircuito: l’assolutezza del potere popolare degenerò nel cd Periodo giacobino del Terrore -1793 Robespierre-. Esso veniva esercitato senza la necessaria intermediazione della legge e delle procedure e questo comportò che moltissimi cittadini vennero processati in base al sospetto di aver ordinato un complotto contro la nazione. Le istituzioni si autolegittimavano, così, attraverso la persecuzione dei complotti creando unione e approvazione mediante la creazione artificiale di nemici comuni.
La situazione subì una decisa inversione di marcia a seguito del colpo di stato di Napoleone e la restaurazione della forma monarchica. Nel 1804 egli divenne imperatore ma il fermento rivoluzionario non venne abbandonato: esso si tradusse, nello stesso anno, nella codificazione, depositaria dei concetti di proprietà e libertà, figli della rivoluzione stessa.

A cura di Chiara Casuccio 

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Salve professore, vorrei capire le date degli appelli perché sul gomp ne risultano due che coincidono entrambi il 30 gennaio. Grazie mille e buona serata.

Emanuele Conte ha detto...

9 gennaio, 30 gennaio e 20 febbraio

Anonimo ha detto...

Perfetto, grazie mille!