Verso la fine del XVIII secolo si
assiste ad un passaggio fondamentale nella storia istituzionale moderna. Nato
dal fermento ideologico e storico, esso segnerà la più grande cesura rispetto
ai sistemi di antico regime: la creazione di una serie di costituzioni scritte,
sistemi, cioè, di norme sovraordinate alla legge e preposte al funzionamento
degli stati nazionali.
Vi sono tre grandi tappe della creazione
costituzionale:
-
La Dichiarazione di indipendenza americana del 1776
-
La Costituzione americana del 1787
-
La Dichiarazione dei diritti dell’uomo francese 1789.
Nonostante gli evidenti tratti comuni
costituiti dall’oggetto delle moderne costituzioni -la costituzione di uno
stato di diritto mediante l’imposizione di limiti al potere dello Stato e l’istituzione
di maggiori garanzie per i cittadini-, il modello anglosassone di costituzione
si atteggiò, tuttavia, in modo parzialmente diverso rispetto al modello
costituzionale continentale. Tale diversità è dettata in primo luogo da un
diverso substrato ideologico e culturale: da un lato, il pragmatismo
anglosassone teso alla risoluzione di problemi concreti, come quello primario
dell’imposizione fiscale, rese la costituzione americana un modello di
costituzione fortemente “individualista”, rifiutando l’idea di uno
Stato-regolatore della società e dell’economia; al lato opposto, il diverso
concetto di benessere, legato alle teorizzazioni della moderna scienza
economica -v. A. Smith- portò alla statuizione di principi differenti da quelli
enfatizzati durante la rivoluzione francese.
Secondo il modello anglosassone,
infatti, la ricchezza delle nazioni non è centrata sulla proprietà, come nella
codificazione francese, di poco successiva, ma sull’efficienza degli scambio e
della circolazione del credito: in tale ottica di forte fiducia nella
intrinseca capacità degli individui di crescita economica, la costituzione
americana e, prima ancora, la Dichiarazione di indipendenza, esaltarono la
libertà dei commerci e quella individuale nel perseguimento dei propri interessi
riducendo al massimo la possibilità dello Stato di intervenire nella
regolazione del settore.
A differire dalla nozione “tradizionale”
non era soltanto l’idea di benessere, ma la stessa idea di proprietà: nel
sistema anglosassone essa non rappresenta un potere assoluto sulla cosa, la è
un diritto reale fortemente frazionato, limitato da elementi temporali o da
diritti altrui sulla cosa.
Un altro elemento di differenza rispetto
al modello francese, legato al pragmatismo anglosassone e all’idea di Stato
fortemente individualista, è la centralità della questione dell’imposizione
fiscale e della legittimità delle norme impositive costituite senza la
partecipazione dei rappresentanti dei diversi ceti della società.
In entrambe le esperienze, americana e
francese, inoltre, si pose come centrale il problema della separazione dei
poteri, elemento indispensabile per evitare che il potere si converta in
dispotismo. Il modello ideale di stato era rappresentato, secondo le
teorizzazioni franco-rivoluzionarie, dall’Inghilterra, il cui equilibrio nella
separazione dei poteri era stato già evidenziato dal filosofo J. Locke. Il
modello monarchico di identificazione nazionale venne, tuttavia, meno nel caso
americano e, in un certo periodo, anche in quello francese.
Nonostante il forte radicamento delle
dottrine illuministe in Francia, il monarca contro cui avvenne la rivoluzione
fu un monarca molto diverso da quello teorizzato sul modello inglese. Luigi XIV
e i suoi predecessori, infatti, non si lasciarono mai affascinare dal pensiero
illuminista traducendolo in concreto modello di governo: prova ne è che la
convocazione degli Stati generali, le assemblee rappresentative dei diversi
stati sociali, non fondate sul modello democratico ma su quello medievale della
corporazione, ai tempi della rivoluzione, non avveniva da oltre 150 anni –
1614-. Solo nel 1789, per la prima volta dopo decenni di inattività vennero
riconvocati gli Stati generali.
Il peso ormai
insopportabile del sistema di vincoli alle persone ed alle cose imposto
dall’antico regime, ed il crescente fermento sociale sono testimoniati da una
serie di documenti prodotti dalle assemblee locali, i cd cahiers des
doléances, Essi sono, in altre parole, le
critiche sollevate dalla nazione stessa contro lo stato, e tutte le
manifestazioni del potere signorile feudale che determinavano la costrizione
dei ceti meno abbienti e l’inalterabilità della loro condizione, l’inefficienza
della giustizia, la tassazione troppo alta etc.
Il momento di rottura, che portò alla
presa della Bastiglia il 14 luglio 1789, è rappresentato dalla chiusura
definitiva degli Stati generali da parte del re. L’assetto costituzionale che
si stabilisce con la Dichiarazione dei diritti dell’uomo del 26 agosto, è tipicamente
rousseauiano: vennero distrutti tutti i simboli dell’antico regime e una grande
assemblea nazionale, sottratta alla possibilità di scioglimento da parte del
re, venne posta a controllo di tutte le attività di governo, esercitando tale
potere mediante la legge; il governo ed i magistrati attuavano, così, la legge
alla stregua di macchine, senza avere la possibilità di incidervi.
Con la legge si perseguiva ogni tipo di intervento del potere del popolo sulla
sua propria nazione; qualsiasi attività di governo e gestione doveva essere enunciata
mediante lo strumento della legge che le autorizzava. L’attività di governo non
autorizzata era illegittima ed in quanto tale doveva essere soppressa;
l’esercizio del potere giudiziario doveva consistere nella meccanica
applicazione della legge senza possibilità di interpretazione, estensione,
ragionamento analogico e, nei casi dubbi, il magistrato doveva rivolgersi
direttamente all’Assemblea per ottenere un’interpretazione autentica della
norma - référé législatif.
Il 4 agosto 1789 erano, inoltre, stati
aboliti tutti i diritti feudali senza indennizzo. Insieme al principio della
legge quale espressione della volontà popolare vennero, dunque, affermati con
forza i due diritti fondamentali compressi dal sistema dell’antico regime:
la libertà e la proprietà.
La prima fase rivoluzionaria è, dunque,
una fase fortemente istituzionale in cui la legge, insieme alle procedure e al
processo viene posta a tutela delle libertà individuali: esse rappresentano,
infatti, la necessaria intermediazione tra potere e individuo. In particolare,
la legge è il modo formale con cui lo Stato predetermina le regole che nemmeno
lo Stato stesso può violare.
Tuttavia, la preminenza del potere
legislativo su quello giudiziario ed esecutivo, determinando, di fatto, uno
squilibrio tra poteri, produsse, ben presto un cortocircuito: l’assolutezza del
potere popolare degenerò nel cd Periodo giacobino del Terrore -1793
Robespierre-. Esso veniva esercitato senza la necessaria intermediazione della
legge e delle procedure e questo comportò che moltissimi cittadini vennero
processati in base al sospetto di aver ordinato un complotto contro la nazione.
Le istituzioni si autolegittimavano, così, attraverso la persecuzione dei
complotti creando unione e approvazione mediante la creazione artificiale di
nemici comuni.
La situazione subì una decisa inversione
di marcia a seguito del colpo di stato di Napoleone e la restaurazione della
forma monarchica. Nel 1804 egli divenne imperatore ma il fermento
rivoluzionario non venne abbandonato: esso si tradusse, nello stesso anno,
nella codificazione, depositaria dei concetti di proprietà e libertà, figli
della rivoluzione stessa.
3 commenti:
Salve professore, vorrei capire le date degli appelli perché sul gomp ne risultano due che coincidono entrambi il 30 gennaio. Grazie mille e buona serata.
9 gennaio, 30 gennaio e 20 febbraio
Perfetto, grazie mille!
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