sabato 12 gennaio 2008

Teoria del sinallagma di F. Connan

Aggiungiamo qualcosa a quanto detto sulla teoria del sinallagma di F. Connan (1508-1551). L’interpretazione del giurista francese costituisce un esempio del metodo seguito dalla Scuola dei culti, in particolare di quello rispondente all’indirizzo “sistematico”. I culti fanno ricorso alle fonti antiche, giuridiche e non giuridiche, con l’intento di incidere direttamente sull’interpretazione e dunque sull’applicazione delle fonti del diritto. Vediamo allora la portata innovativa dell’analisi di F. Connan della struttura giuridica del contratto.
Se dite che secondo il giurista francese la causa del contratto, la fonte della sua natura di obbligazione vincolante, risiede nel sinallagma, che egli reinterpreta etimologicamente come “scambio”, allora dovete aggiungere quanto ne consegue: cioè che è lo scambio a determinare l’obbligatorietà, il vincolo, non già la forma né la tradizione della cosa né le formule tipiche dello ius civile e neppure il consenso. Quest’ultimo, infatti, non può conferire forza obbligatoria ai “patti nudi”, cioè alle manifestazioni di volontà allo stato puro, che non sono “vestite” da forme o da cause tipiche e non tipiche, secondo quanto afferma Ulpiano in D.2.14.7.4 (“nuda pactio obligationem non parit”).
Per il principio di equità, che vede la giustizia come una proporzione (sulla scorta di Aristotele), è necessario che si mantenga un equilibrio delle rispettive prestazioni ed è questo a giustificare la trasformazione del patto in contratto, non già il fatto che l’ordinamento abbia previsto la singola figura negoziale. Cortese sintetizza efficacemente il concetto considerando come con l’analisi di F. Connan non valga più l’idea che sia il “nomen” tipico ad agire da “vestimentum pactorum”.
Tornando al metodo cosiddetto sistematico seguito da Connan, si vede allora come l’approccio filologico nella ricerca dell’etimologia e la cultura classica che si estende alle fonti non giuridiche conduca il giurista a conclusioni di indubbia portata teorica e pratica. E’ giusto poi ricordare, come avete fatto, che con il giusnaturalismo e più tardi il codice napoleonico si sia affermato piuttosto il principio che l’obbligazione nasce dal consenso delle parti.

Ordonnance del 1667

Si è parlato di “codificazione a livello costituzionale” con particolare riferimento alla ordonnance del 1667 con cui Luigi XIV ridisegnò l’intera disciplina del processo civile in modo organico. Il tema è complesso e richiederebbe ben altro spazio di approfondimento, perciò prendete quanto segue come dei semplici suggerimenti per riflettere sulle pagine del manuale.

Per comprendere quest’espressione si deve considerare innanzitutto che le ordonnances sono delle leggi che disciplinano in via generale uno o più istituti e in età moderna diventano una prerogativa del re. Il sovrano interviene con l’intento di riordinare una branca della legislazione; nel nostro caso quella dei meccanismi del rendere giustizia. Le ordonnances sono, infatti, una sorta di “mini-codici”, come anche le ricorda Birocchi.

Non entriamo qui nella discussione – che pure dovete tenere a mente – se queste leggi organiche debbano essere classificate come codificazioni o consolidazioni, vale a dire se presentino o meno tutti i caratteri propri di un codice nel senso moderno del termine. Consideriamo soltanto che in esse manca il carattere fondamentale dei codici moderni: cioè l’esclusione di ogni altra fonte applicabile alle materie disciplinate. Esse escludono l’applicazione di ogni altra norma contraria al loro dettato legislativo, ma non il ricorso alle consuetudini, al diritto comune, alla dottrina nel caso di lacune o di necessità di interpretare il singolo dato normativo. Dunque la legge non è l’unica fonte che può disciplinare la materia, ad es., della procedura civile.

Tornando all’espressione che, a ragione, ha suscitato dubbi in qualcuno di voi. L’ordonnance del 1667 vuole attribuire alla monarchia francese il controllo normativo in tema di giustizia che le Supreme Corti di fatto si arrogavano interpretando le leggi del regno. Allora Luigi XIV fissa una serie di regole (che Birocchi riporta nel dettaglio) per evitare che i Parlamenti prendano decisioni discrezionali che spesso erano in contrasto con le norme positive. E dietro la previsione di queste regole – come sottolinea Birocchi – si intravede una sorta di separazione costituzionale dei poteri che si avrà solo più tardi: il potere legislativo spetta solo al sovrano e quello giudiziario si riduce ad una mera applicazione delle norme. Con questa ordonnance Luigi XIV intervenne perciò nella definizione non soltanto dei meccanismi di applicazione della giustizia, ma anche del rapporto dei poteri del re e dei Parlamenti.