mercoledì 19 ottobre 2016

Lezione 18/10/2016

I primi decenni successivi all’incoronazione di Carlo Magno furono un’epoca di fioritura dell’impero il cui ideale era rappresentato dalla ricostituzione di quell’universalismo che era andato perso a seguito della caduta dell’Impero romano d’Occidente nel V secolo.
I segni visibili di questa tendenza all’universalità sono riscontrabili nei campi più disparati: dall’introduzione di un’unica grafia, la cosiddetta scrittura carolingia, o di uniche unità di misura. Queste preoccupazioni sono attestate dalla legislazione legislazione dell’Impero (Capitularia), che si rovolge anche a favorire la coesione di quello che tra tutti era l’organismo universale per definizione: la Chiesa cattolica.
Tale scopo venne perseguito dall’imperatore mediante l’emanazione di norme formalmente laiche ma aventi come contenuto quello di disciplinare la vita della Chiesa, la cui regolazione era funzionale alla vita dell’impero stesso. Ad esempio, nel concilio dell’802 indetto da Carlo Magno in persona, l’imperatore ordinò il controllo e la redazione di un’unica versione dei testi sacri, l’elaborazione di un’unica liturgia, e la canonizzazione della regola benedettina.
Lo stesso concilio, tuttavia, è testimone anche di una diversa e, per certi aspetti, opposta tendenza, quella al riconoscimento dei particolarismi dei popoli dell’impero. Nell’802, infatti, Carlo Magno ordina la messa per iscritto e la correzione di tutte le leggi popolari. La natura composita delle tradizioni giuridiche dei popoli che compongono l’Impero è attestata anche dal fenomeno delle professiones iuris, le dichiarazioni circa il diritto che si intende applicare in un determinato atto dispositivo presenti nei documenti di epoca carolingia.
Secondo la storiografia ottocentesca, queste professiones, sulla cui base sarebbe stato costruito il concetto di “personalità del diritto”, avrebbero rivelato una natura fortemente etnica delle norme giuridiche. Forzando il dato storico la teoria in questione avrebbe “anticipato” il fenomeno fino al tempo delle doppie legislazioni di epoca “barbarica”.
In realtà, prima dell’età carolingia il problema della personalità del diritto non si era mai posto, né è stato mai testimoniato da alcuna fonte storica. Il problema di specificare quale tipo di diritto si sarebbe applicato ad una determinata fattispecie nasce insieme alla ricostituzione dell’impero universale. Che l’applicazione delle norme non seguisse l’etnia di chi doveva applicarla è confermato, poi, dal fatto che la scelta del diritto da utilizzare fosse basata non già sulla provenienza della norma ma sulla convenienza di essa.
Un ulteriore problema che è stato posto dalla storiografia giuridica nell’Ottocento e del Novecento è quello delle fonti che attestano un ritorno al diritto romano nell’età carolingia. Minuziose ricerche hanno riesumato le varie riapparizioni di lex romana e le abbreviazioni di fonti giustinianee che fecero la loro comparsa nel secolo IX. Questo interesse era condizionato dall’importanza che aveva rivestito per la scuola storica tedesca il diritto romano come fonte del diritto privato ottocentesco e novecentesco. La questione che si poneva era dunque quella di chiedersi se questo diritto avesse attraversato l’alto Medioevo o fosse quasi caduto in disuso, prima di essere recuperato nel XII secolo.
Dal quadro di fonti che abbiamo sembra che le parti del Corpus Iuris di Giustiniano che ebbero qualche circolazione in età carolingia siano state il Codice e le Novelle, ma entrambi sottoforma di abbreviazione: l’Epitome Codicis e l’Epitome Iuliani. Le altre compilazioni portano in certi casi il nome di Lex romana, e tramandano raccolti di pezzi sparsi.
In tutte queste fonti traspare una caratteristica comune: che le raccolte o le abbreviazioni erano redatti senza curarsi del quadro complessivo dell’ordinamento vigente che il legislatore (ad esempio Giustiniano) aveva voluto dare alla sua legislazione. I testi si riassumevano, si modificavano, si sfrondavano di ciò che i loro raccoglitori ritenevano superfluo.
Questo atteggiamento disinvolto verso la legislazione trova la sua espressione più estrema nella diffusione delle falsificazioni, che nacquero negli stessi ambienti ecclesiastici che tramandarono le sillogi di diritto romano.

La falsificazione più diffusa, le Decretali pseudo-Isidoriane ebbe una larghissima ricolazione per secoli, e risulta effettivamente utilizzata già nel IX secolo. Stabilisce criteri di giustizia che non trovavano supporto legislativo, rivestendo di auctoritas un contenuto che il falsario riteneva carico di equità, e quindi meritevole di sanzione legislativa.

martedì 18 ottobre 2016

Invio della risposta

Come per la precedente domanda, dovete inviare la risposta entro le 15,30 (meglio uno o due minuti prima) all'indirizzo
storiadiritto.conte@uniroma3.it. 
Ricordate di indicare nome, cognome e numero di matricola nella mail di risposta.

Seconda domanda: la donazione di Costantino


Uno dei documenti più famosi di tutta la storia medievale è la donazione di Costantino. Descrivete in breve il suo contenuto e le condizioni politiche che ne determinarono la redazione.

La domanda di oggi sarà pubblicata alle ore 15,00

Come sempre, prenderà spunto dai temi trattati durante l'ultima lezione.

lunedì 17 ottobre 2016

Lezione 17/10/2016

Per comprendere la grande trasformazione giuridica avvenuta all’inizio del IX secolo, la ricostituzione, cioè, dell’Impero romano d’Occidente ad opera di Carlo Magno, è necessario guardare alla situazione geopolitica del secolo ad essa precedente.
La ripresa dell’ideale romano e la riunificazione territoriale e religiosa dell’Impero d’Occidente furono il frutto di una lenta ma sicura attività diplomatica svolta dalla Sede Pontificia verso il più potente e cattolico dei regni barbarici: quello dei Franchi.
Essa, inoltre, nacque dalle esigenze di ripresa della stabilità di un papa il cui potere e la cui incolumità cominciavano ad essere scalfiti su tre diversi fronti:
1. Da un lato, i territori bizantini della penisola italiana, venivano minacciati dalle nuove campagne di espansione di Liutprando, re dei Longobardi (VIII sec.). La figura di Liutprando viene, inoltre, ricordata anche per aver emanato una compilazione le cui norme hanno la particolare caratteristica di essere strettamente legate al caso concreto che hanno risolto. Questo rapporto molto stretto tra giustizia e legislazione fornisce il modello di normazione che si impone in tutta l’area del nord Europa.
2. Dall’area mediterranea, inoltre, il papato – e tutta l’Europa- subisce la pressione di una nuova potenza: l’Islam. La società araba, nata nel VII secolo dal sincretismo di varie tribù prima fortemente frammentate, si sviluppò rapidissimamente e, rispondendo ad una forte spinta ideale, religiosa e militare, si espanse in modo altrettanto rapido, conquistando tutte le coste dell’Africa settentrionale e la penisola iberica, per poi spingersi fino al nord della Francia, dove l’avanzata venne respinta dall’esercito franco di Carlo Martello a Poitiers nel 732. Ugualmente, ad oriente, l’esercito islamico era avanzato fino alle porte di Costantinopoli, minacciandone la sopravvivenza, ma venne fermato nel 719 dall’imperatore Leone III. Questa nuova realtà si presentava al mondo occidentale molto diversa sotto alcuni aspetti, come ad esempio quello della completa identificazione tra legge laica e legge divina, ma presentava, altresì, elementi di contatto con esso, come per esempio il ruolo assistenziale svolto dalle Waqf, fondazioni islamiche, che raccoglievano donazioni dei fedeli cui uno dei cinque pilastri dell’Islam impone l’obbligo di fare la .
3. La terza grande minaccia alla stabilità dell’autorità papale derivò dalla grande crisi religiosa intercorsa tra l’impero di Costantinopoli con il suo vescovo sostenitore dell’eresia iconoclasta, ed il papa. Questa crisi portò scomuniche reciproche e si concluse in una rottura a seguito del tentato assassinio del papa da parte dell’imperatore Costantino V.
È, dunque, in questo quadro che si inserisce l’attenta attività diplomatica del papa volta alla ripresa dell’ideale romano di unione politica, religiosa e giuridica durata circa cinquant’anni: dal 751 all’incoronazione di Carlo Magno la notte di Natale dell’800. Fu proprio la Chiesa, con l’ausilio della monarchia Franca, a determinare la caduta del regno barbarico dei Longobardi. Sulla base di questa particolare alleanza con il clero cattolico, il potere secolare della monarchia Franca rimase fortemente legato alla Chiesa.
Nel 751 papa Zaccaria legittimò la deposizione del re dei Merovingi operata da Pipino il Breve, il suo primo ministro (Maggiordomo di palazzo) il quale venne “unto” re dei Franchi. Nella decretale in cui attingeva all’auctoritas pontificia per legittimare l’operato di Pipino, Zaccaria pose l’accento sull’importanza di una corrispondenza tra la forma e la sostanza dell’esercizio del potere (era necessario, cioè, che chi esercitava di fatto i poteri vi fosse legittimato anche formalmente).
Nel 754, tuttavia, papa Stefano II si recò personalmente in Francia e, nella cattedrale di Saint Denis, diede luogo ad una seconda cerimonia dell’unzione. La tesi di Cortese riguardo questa seconda cerimonia è particolarmente convincente: in quanto funzionario dell’impero, rappresentante della maestà laica, il papa, con questa seconda unzione, sta conferendo a Pipino non già il titolo di “re dei Franchi”, ma quello di “patrizio dei romani”, offrendogli, con questa consacrazione, la carriera bizantina romana tipica cursus honorum classico che avrebbe portato al titolo imperiale (questa nuova funzione della Chiesa viene confermata e legittimata anche da un documento falso: la famosa donatio Costantini).

Nel 774 Carlo Magno riconquista l’Italia longobarda e nell’800 viene incoronato imperatore del Sacro Romano Impero d’Occidente: l’Europa si ripresenta con una sua grande unità.