venerdì 28 ottobre 2016

La settimana prossima

La prossima settimana faremo lezione regolarmente il 2 novembre alle 16,00. Invece non si terrà la lezione del 31 ottobre.

mercoledì 26 ottobre 2016

Terza domanda

Ecco la terza domanda
Come per le precedenti, dovete inviare la risposta entro le 17,00 (meglio alcuni minuti prima) all'indirizzo
storiadiritto.conte@uniroma3.it
Ricordate di indicare nome, cognome e numero di matricola nella mail di risposta.


La vestitura è uno strumento giuridico molto flessibile e molto usato nel pieno Medioevo. Quali sono le sue caratteristiche principali? Per quali ragioni non si può accogliere la dottrina dei germanisti che la considerano un istituto tipicamente germanico?

Lezione del 25.10.2016

Il discorso sulla graduale evoluzione del diritto influenzata da contingenze storiche e pratiche porta alla principale considerazione di due tendenze tra loro distinte ma dipendenti: da un lato, la legislazione frammentaria e composita (e non immune dalla circolazione di falsi) dava luogo a una ampia incertezza del diritto; dall’altro  il forte bisogno di certezza dei diritti induceva a rivolgersi ai poteri pubblici per ottenerne l’approvazione e la certificazione delle transazioni fra privati.
Si assiste, per questo, ad un sempre maggiore ricorso agli interventi di natura pubblicistica nel campo delle transazioni private. Si affidava all’autorità pubblica, generalmente un notaio nominato dal potere centrale o dall’autorità ecclesiale, il compito di far produrre gli effetti giuridici al negozio mediante l’utilizzo di solennità che conferissero la firmitas, la stabilità, al negozio. Tali interventi contribuirono ad assottigliare quella già sfumata differenza tra diritto pubblico e privato che era stata uno dei principi cardini del diritto romano classico. Ciò perché, del diritto classico venne meno anche il secondo principio cardine di tutta la disciplina privatistica: quello per cui è la volontà a produrre un determinato effetto giuridico. Nel tentativo di risolvere il problema di quale elemento producesse l’effetto giuridico del negozio -il consenso o la forma- gli storici del diritto si sono interrogati sulla funzione della parola convenientia, l’incontro delle volontà delle parti, registrata in molti documenti notarili. Secondo Cortese, l’aumentare dei contratti in cui si manifestava la convenientia non può, per il tempo di cui si scrive, ancora rappresentare una spia del cambio della mentalità giuridica verso la ripresa dell’autonomia contrattuale delle parti (Calasso). Nei secoli in esame, la convenientia era ancora semplicemente la dichiarazione resa dalle parti al notaio, ma l’effetto obbligatorio rimaneva dipendente non dalla manifestazione della volontà delle parti, ma dalla redazione formale dell’atto.
Il documento, la forma scritta cioè, divenne lo strumento principe utilizzato per conferire solennità – e dunque effetti – al negozio privato, tanto che alcuni studiosi hanno parlato di incorporazione del diritto di credito nella carta, alla stregua dei moderni titoli al portatore. La teoria è, tuttavia, ancora prematura per un’età, come quella in esame, in cui le transazioni commerciali aventi ad oggetto somme di denaro non erano certamente di entità tale da poter costruire l’impalcatura di un istituto giuridico vero e proprio.
 In generale, si può dire che la caratteristica principale del diritto di quest’epoca fu un nuovo modo di concepire i diritti, non più in base alla loro titolarità ma all’apparenza: l’esercizio o il godimento di un diritto erano garantiti non al titolare ma a colui che “appariva come tale” in quanto in possesso della carta, o in quanto “investito” di un diritto specifico la cui titolarità rimaneva in capo al concedente.
Manifestazione di tale tendenza è l’ampio ricorso all’investitura. Con essa l’autorità pubblica “vestiva” un soggetto di un complesso di poteri che potevano esercitarsi su persone o su cose. Uno degli effetti del ricorso a questo tipo di transazioni era la “divisione” del diritto di proprietà in due parti: un’ampia gamma di poteri dominicali passava in capo al concessionario della cosa o del diritto di cui era investito, mentre la titolarità astratta, ed il diritto a ricevere l’homagium, segno esteriore di questa titolarità, rimanevano in capo al concedente.
La scuola germanistica ha tentato di ricondurre la derivazione del concetto di vestitura ad un presunto antico “istituto di diritto germanico”, riflesso dello spirito del popolo: la gewere. La parola avrebbe indicato un istituto che garantiva tutela dei godimenti di cose o di diritti in base all’apparenza, e non alla titolarità. Perdeva la sua ragione d’essere, perciò, il binomio romanistico proprietà- possesso (v. Dibattito della scuola storica fra romanisti -Savigny- e germanisti), perché non vi sarebbe distinzione fra la titolarità del diritto (che dà luogo alla proprietà) e il fatto qualificato e degno di tutela giuridica (il possesso). Una più attenta analisi storiografica, basata su argomenti di tipo linguistico-documentali, tuttavia, rivela come la parola, il linguaggio e le caratteristiche principali della vestitura-gewere non derivino da un ancestrale istituto di diritto germanico. Essi furono, piuttosto, la trasposizione in leggi laiche di modelli ed istituti nati in ambito ecclesiastico ed utilizzati, inizialmente, per “rivestire” qualcuno che era stato ingiustamente “spoliato” di una propria prerogativa (v. Eccezione di spoglio- Decretali Pseudo Isidoriane).
La prima apparizione della parola revestire in ambito giuridico si rintraccia infatti in un paio di leggi visigotiche emanate intorno al 681, nelle quali il re Erwig “riveste” alcuni ribelli perdonati dei loro diritti. Sia le concessioni di beni, sia i poteri militari e giurisdizionali rientrano fra gli oggetti del provvedimento, sicché il revestire si configura come un atto che conferisce ogni tipo di diritti grazie all’intervento dell’autorità pubblica.
Più che un istituto di arcaico diritto germanico, la vestitura-gewere appare come una ulteriore manifestazione dell’influenza della religione sul diritto. Il collegamento fra la legislazione visigotica e le decisioni del clero ispanico riuniti a concilio a Toledo sono evidenti, e la struttura dell’istituto fa dipendere dall’autorità superiore tutti i poteri e i diritti di cui gode colui che ne è investito.
Si cominciano, poi, nel medioevo a differenziare le varie forme di concessione, di cui la contrattualistica agraria ci propone gli esempi più significativi: enfiteusi, precaria e livello, oltre al più generale beneficium, analizzato in precedenza.
Il sistema delle concessioni e delle vestiture riflette un’economia in cerca della massima stabilità: la società non cerca un progresso economico e gli individui non tendono a sfruttare i beni di cui sono titolari per conseguire una condizione di vita migliore, ma si limitano a “vestirsi” di diritti e doveri entrando in un meccanismo economico basato su concessioni che tendono alla stabilità. Alla svalutazione dell’efficacia giuridica della volontà dei contraenti fa riscontro, dunque, un parallelo ridursi dell’idea di titolarità di diritti.

(a cura di Chiara Casuccio)

lunedì 24 ottobre 2016

Lezione 24/10/2016

L’analisi delle caratteristiche degli istituti che, nati come risposte “naturali” alle contingenze, si cominciano a strutturare, a partire dal IX secolo, come più propriamente giuridici, denuncia una delle più grandi caratteristiche del diritto: il suo essere fortemente legato al contesto storico in cui nasce e si sviluppa, la sua periodicità. 
Lo stesso esame dell’istituto giuridico medievale per definizione, il feudo, mette in luce la stretta relazione che intercorre tra la forma e le caratteristiche di questo e le condizioni economiche e politiche in cui esso venne formandosi. 
La dottrina è solita individuare tre elementi principali caratterizzanti l’istituto del feudo. Queste caratteristiche nacquero, ancora una volta, per rispondere ad esigenze pratiche e tra loro parzialmente differenti ed indipendenti. Trovarono, poi, unità nell’istituto-feudo solo gradualmente e per motivazioni, nuovamente, di carattere storico.
1. Elemento personale. Il tradizionale assetto delle comunità dei regna germanici fondato sul modello militare dei legami di fedeltà trova, nel regno -poi impero- Franco, una sanzione giuridica. La giurisdizione del regno viene, infatti, suddivisa dal sovrano mediante la delegazione di poteri di carattere pubblicistico a coloro che erano a lui legati da rapporti personali di fedeltà tipici delle società romano-barbariche. Il rapporto uomo-a-uomo, però, si colora ora di un carattere nuovo: quello pubblico. Il potere centrale viene distribuito e collegato al sovrano mediante una fitta rete di rapporti personali; i vassalli del re cui è delegata la giurisdizione su determinati territori (marche o contee),esercitano questo potere in luogo del sovrano stesso, che ne rimane,però, il diretto titolare: essi impongono tasse, amministrano la giustizia ed utilizzano, nei casi in cui è necessario, la forza in virtù della delega concessagli. L’effetto che ne deriva è la polverizzazione della giurisdizione: si noti come il criterio dell’universalità imposto dalla rifondazione del Sacro Romano Impero rimanga, in questo caso, un ideale puramente astratto.
2. Elemento reale. Si tratta di concessioni di cespiti patrimoniali produttivi di reddito inizialmente non collegate direttamente al rapporto di vassallaggio ma nate, comunque, al fine di conseguire la fedeltà del concessionario al concedente. Dal punto di vista tecnico giuridico questi beneficia non sono cessioni di proprietà: questa rimane, infatti, in capo al titolare-concedente(generalmente l’impero o un ente ecclesiastico); essi sono, piuttosto, concessioni di carattere reale, diverse dai diritti reali in senso proprio, la cui caratteristica principale si sostanzia dell’instabilità del riconoscimento, orale e sempre revocabile. Questa caratteristica porterà, come reazione, all’opposta tendenza alla stabilizzazione del conferimento. Anche il connotato della stabilità del beneficium fu raggiunto solo in maniera graduale: tappe esemplari di questo processo sono il Capitolare di Quierzy dell’877, impropriamente ricordato come il capitolare che concesse l’“ereditarietà dei feudi maggiori”, e con il quale fu, invece, garantita dall’Imperatore la ri-concessione del beneficium ai figli dei della nobiltà franca; e, in Italia, la Costituzione di Corrado II il Salico del 1037 con cui si conferì, effettivamente, il carattere di automaticità alla trasmissione mortis causa dei beneficia ai propri figli, salvo il caso di infedeltà (più che un requisito di carattere positivo per la trasmissione agli eredi, dunque, ne era necessario uno di carattere negativo consistente nella mancanza di infedeltà). Solo con l’acquisizione dei caratteri della stabilità e della sempre più libera trasmissibilità -prima agli eredi e solo successivamente anche inter vivos- il beneficium cominciò a canfigurarsi come un diritto reale in senso proprio.
3.ImmunitàQuesto terzo elemento trova la sua radice nella caratteristica delle terre che generalmente venivano date in concessione, quelle cioè dell’imperatore o della chiesa, di essere esenti dall’imposizione fiscale ed in senso lato da qualsiasi ingerenza del potere pubblico. Immunità, dunque, venne mano a mano a significare immunità dall’intervento della giurisdizione centrale sulle persone che abitavano le terre concesse. È da notare, tuttavia, come le terre fossero concesse dall’imperatore in beneficium ai propri vassalli contemporaneamente alla delegazione della giurisdizione pubblica stessa: il risultato di questo, quindi, non fu tanto la creazione di tanti piccoli centri di potere anarchici ed autarchici ma semplicemente quella ricordata frammentazione di un potere centrale quanto alla titolarità ma dislocato quanto al suo esercizio.
Le ragioni per cui questi tre elementi si fusero finendo per costituire il feudo quale istituto giuridico vanno ricercate, ancora una volta, nelle condizioni politiche dell’epoca che determinarono trasformazioni economiche e, di riflesso, giuridiche. Il X secolo fu un’epoca di grande insicurezza politica e di grave anarchia amministrativa. L’ assetto della popolazione, che un tempo si era redistribuita nelle campagne, venne nuovamente scosso a causa delle incursioni dei predatori che minacciavano gli abitanti dell’Impero: gli Ungari provenienti dalle steppe del nord est ed i Mussulmani che avevano conquistato la Sicilia (827-902) e si erano spinti fino alle porte di Roma, saccheggiando la basilica di San Paolo (846) e destando, di conseguenza, grandi preoccupazioni nel papa. La risposta a questa nuova ondata di instabilità fu il ritorno, da parte della popolazione, nelle città con la costruzione di grandi mura cittadine – che trovava il suo corrispettivo rurale nella costruzione del castello con la cinta muraria a difesa del signore e dei suoi sottoposti-, e la costituzione milizie preposte alla protezione dei centri abitati. La forma di pagamento dei soldati fu, anche in questo caso, il beneficium su determinati beni che il soldato avrebbe potuto mettere a frutto traendone reddito (benefici minori)
Il feudo si venne gradualmente a configurare come un istituto fortemente condizionato dalla situazione politica del tempo, che si adattò ad una comunità tendente a privilegiare la collettività piuttosto che il singolo individuo e il cui assetto volse sempre più alla stabilità delle relazioni personali e reali in risposta alle incertezze istituzionali.
Il fatto che il diritto dipendesse dalle condizioni storiche più che dalle caratteristiche dei singoli ordinamenti è percepibile ancor meglio effettuando un’analisi comparatistica tra la situazione dell’Italia franca e quella dei territori italiani rimasti bizantini: quest’analisi fa emergere una comunità di istituti spiegabile solo nella prospettiva di condivisione di esigenze che ne determinarono la nascita e la sopravvivenza. Permasero nel diritto bizantino elementi di distanza come la centralità del potere pubblico in campo penale. Altra grande caratteristica del menzionato diritto di quest’epoca fu il recupero, la traduzione in greco ed il riadattamento del Corpus Juris Civilis da parte di Basilio I, pubblicato poi nella versione dei Basilici da Leone VI il Saggio nell’880. Lo studio di quest’opera in 60 libri prelude alla grande rinascita del diritto romano ad opera della scienza giuridica italiana.