E' un problema delicato perché storico e teorico nello stesso tempo. Come vi ho spiegato a lezione, bisogna partire dalla riscoperta di Aristotele, che tra XII e XIII secolo diventa il punto di riferimento della filosofia scolastica. Aristotele insegnava che sapere vuol dire "res per causas cognoscere", cioè conoscere le cose attraverso le loro cause. Questo è vero anche per le azioni degli uomini, che noi possiamo conoscere cercando di comprenderne il motivo e lo scopo, cioè le cause.
Si tratta di una visione dinamica dell'agire umano, che privilegia la volontà e riscopre il potere creativo dell'individuo.
Questa visione della volontà è molto importante per il diritto, che ricollega ad essa effetti molto importanti sia nel diritto privato sia nel pubblico. Nel diritto privato, è il negozio giuridico che produce effetti reali od obbligatori in conseguenza della volontà dei privati. Nel pubblico è la volontà qualificata del legislatore che produce l'obbligo universale che deriva dalla legge.
Ecco perché già i glossatori si servirono della dottrina aristotelica della causa per conoscere la volontà e per ricollegare ad essa gli effetti previsti dall'ordinamento.
Questa è la premessa. Qualcuno sa spiegare come funziona la dottrina aristotelica della causa? cosa è la causa finalis? Che succede quando si applica questa logica alla volontà del legislatore e agli effetti della legge?