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Ecco la domanda:
Come ha interpretato la vecchia storiografia germanista la promulgazione dell'editto di Rotari? In base a quali considerazioni storiche si può criticare questa interpretazione?
Chi risponde in modo almeno sufficiente a questa domanda non sarà interrogato, all'esame, sulla parte di programma che corrisponde alle pagine 66-127 del manuale di E. Cortese, Le grandi linee...
venerdì 20 ottobre 2017
Lezione del 18 ottobre 2017
L’ultimo aspetto del diritto longobado da
analizzare è l'istituto del mundio,
che caratterizza i rapporti tra il padre/marito e la donna.
Si è pensato che il suo contenuto fosse simile a
quello della potestas romana; in realtà il
vero contenuto del mundio è di carattere patrimoniale le cui concrete forme di
applicazione si avvicinano molto più a quelle della tutela esercitata dal
tutore sul pupillo che non alla soggezione della donna al padre o al marito.
Esso, dunque, si sostanzia in un potere
di tutela volto a controllare i nuclei patrimoniali di considerevole
entità. Tale aspetto è particolarmente
evidente nelle modalità di trasferimento dei beni della donna: essa può infatti
trasferire i propri beni mediante la sua volontà, è necessario, però, il
consenso del marito o del padre ai fini del perfezionamento dell’atto di
trasferimento.
La prevalenza di contenuto patrimoniale
è confermata dal fatto che l’istituto del mundio venne utilizzato anche per la
costituzione, da parte di alcune famiglie longobarde, di un nucleo patrimoniale
attorno ad enti ecclesiastici: anche in tal caso, infatti, esso veniva posto a
garanzia della conservazione del patrimonio, conferendogli, mediante gli
ostacoli che esso imponeva al trasferimento del nucleo patrimoniale, maggiore
stabilità.
L’ottavo secolo è un’epoca
caratterizzata da particolare complessità.
1. Il regno longobardo, dopo una prima
fase embrionale, immediatamente successiva allo stanziamento in Italia, subì
gradualmente un’evoluzione, determinata, soprattutto dalla vicinanza e dalle
progressive aperture alla chiesa da parte dei re longobardi.
Liutprando, ad esempio, mostrò un
atteggiamento di particolare favore nei confronti del papato e dei territori
antistanti quello di Roma. La sua figura viene, inoltre, ricordata anche per
aver emanato una compilazione le cui norme hanno la particolare caratteristica
di essere strettamente legate al caso concreto che hanno risolto. La forte
impostazione casistica è confermata dal fatto che molte delle norme contenute
nella legislazione di Liutprando cominciano con la formula del “si quis” tipica delle risposte del re a
domande concrete.
La situazione per i territori bizantini
della penisola italiana muta, tuttavia, con l’avvento di Astolfo che, con le
sue nuove campagne di espansione, minacciava l’invasione dei territori intorno
Roma.
2. A complicare ulteriormente il quadro
si aggiunga anche la pressione, subita da tutta l’area mediterranea, compreso
il papato, di una nuova potenza: l’Islam. Ad un secolo dalla sua fondazione,
agli inizi, cioè, dell’VIII sec., la potenza araba ha già conquistato tutta
l’Africa settentrionale, penetrando poi nella penisola iberica, ultima enclave
della romanità classica. Ad oriente, l’esercito islamico era avanzato fino alle
porte di Costantinopoli, minacciandone la sopravvivenza, ma venne fermato nel
719 dall’imperatore Leone III.
Questa nuova realtà, che per molti
aspetti si presentava al mondo occidentale molto diversa presentava, altresì,
elementi di contatto con esso. Da un lato l’influsso religioso monoteista
condivideva con le dottrine ariane e con quelle che influenzeranno l’eresia
iconoclasta in oriente il concetto unitario di divinità. Un altro esempio di
vicinanza ad istituti del mondo occidentale lo ritroviamo nel ruolo
assistenziale svolto dalle Waqf,
fondazioni islamiche, concretizzazioni dell’obbligo di fare la carità che è uno
dei cinque pilastri dell’Islam.
La
rapida espansione dell’armata araba si spinse fino al nord della Francia, dove
l’avanzata venne respinta dall’esercito franco di Carlo Martello a Poitiers nel
732.
3. Ultimo elemento di complessità è
rappresentato dai difficili rapporti tra Roma e Bisanzio: se da un lato,
infatti, il contatto tra papato ed impero era ostacolato dalla presenza, nel
mediterraneo, della pirateria araba, al lato opposto, la stabilità dell’autorità
papale subì le minacce derivanti dalla grande crisi religiosa che in Oriente
aveva portato il vescovo di Costantinopoli e l’imperatore stesso ad abbracciare
l’eresia iconoclasta. Tale situazione portò ad una rottura definitiva dei
rapporti tra papato ed impero nella prima metà dell’ottavo secolo.
Considerando il quadro appena descritto,
si può ora comprendere la teoria di Cortese secondo la quale la
riunificazione territoriale e religiosa dell’Impero d’Occidente furono il
frutto di una lenta ma sicura attività diplomatica svolta dalla Sede Pontificia
che, minacciata da più fronti, ripose le speranze di rinnovazione nel più
potente e cattolico dei regni barbarici: quello dei Franchi.
L’esercito di Carlo Martello Primo
Ministro (Maggiordomo di palazzo) del regno franco aveva, infatti, già
dimostrato le proprie capacità respingendo l’avanzata araba oltre i Pirenei.
Occorreva tuttavia che a tale potenza corrispondesse un titolo idoneo ad
esercitarla legittimamente.
Fu così nel 751 che papa Zaccaria legittimò
la deposizione da parte di Pipino il Breve della dinastia dei Merovingi, re dei
Franchi che tuttavia non esercitavano operativamente la funzione di governo di
cui erano investiti.
Giocando sull’ambiguità della propria
figura di funzionario imperiale e pontefice al tempo stesso il papa attinse
tuttavia alla propria autorità di vicario di Cristo per autorizzare Pipino ad
esercitare la potestas che di fatto già gli era propria. Zaccaria nella
decretale con cui legittimò “il colpo di stato” pose l’accento sull’importanza
di una corrispondenza tra la forma e la sostanza dell’esercizio del potere (era
necessario, cioè, che chi esercitava di fatto i poteri vi fosse legittimato
anche formalmente).
Pipino venne, indi, unto dal vescovo,
come accadeva per tutti i re franchi secondo un’antica cerimonia sacramentale
risalente al tempo della conversione di Clodoveo. In quanto sancita da un sacramento
l’incoronazione di Pipino era dotata del carattere dell’indissolubilità e
dell’irripetibilità. Nel 754, tuttavia, papa Stefano II si recò personalmente
in Francia e, nella cattedrale di Saint Denis, diede luogo ad una seconda
cerimonia dell’unzione.
La tesi di Cortese riguardo questa
seconda cerimonia è particolarmente convincente: in quanto funzionario
dell’impero, rappresentante della maestà laica, il papa, con questa seconda
unzione, sta conferendo a Pipino non già il titolo di “re dei Franchi”, ma
quello di “patrizio dei romani”, offrendogli, con questa consacrazione, la
carriera bizantina romana tipica cursus
honorum classico che avrebbe portato al titolo imperiale.
L’idea di Cortese viene confermata anche
da un documento falso: la famosa Donatio Costantini. In un tale contesto, il
falso documento contenente la donazione che Costantino avrebbe fatto al Papa
dei territori di Roma, quelli circostanti e“poi di tutte le isole del mare”
testimonia la descritta tendenza della Chiesa ad attribuirsi un potere
secolare.
Fu proprio la Chiesa,
con l’ausilio della monarchia Franca, a determinare la caduta del regno
barbarico dei Longobardi: nel 774 Carlo Magno riconquista l’Italia longobarda e
nell’800 viene incoronato imperatore del Sacro Romano Impero d’Occidente. La
ripresa dell’ideale romano e la riunificazione territoriale e religiosa
dell’Impero vennero inizialmente accolte con orgoglio da Carlo Magno, il quale
cominciò ad utilizzare titoli e forme tipiche dell’impero romano: non può
dunque ritenersi valida la teoria secondo la quale, nonostante l’incoronazione
imperiale, continuò a considerarsi un “sovrano germanico”, primo tra i suoi
pari.
A cura di Chiara Casuccio
mercoledì 18 ottobre 2017
Lezione del 17 ottobre 2017
L’assetto della penisola italiana pochi
anni dopo la morte di Giustiniano mutò rapidamente, con l’effetto di un ancora
più radicale allontanamento dalla romanità classica.
Il territorio italiano cadde, infatti,
sotto il controllo di poteri diversi: solo pochi territori rimasero – per lo
più solo formalmente- sotto il dominio impero d’Oriente. La Sicilia, ad
esempio, pur rimanendo per oltre un secolo il punto più strategico per l’impero
bizantino all’interno del mediterraneo, venne gradualmente conquistata dagli
arabi.
A Roma, inoltre, il Papa esercitava il
proprio potere con una certa dose di ambiguità: rappresentante del potere
imperiale a Roma, di fatto gestiva detto potere con indipendenza, traendo la
propria autorità dal fatto di essere altresì il “Vescovo dei vescovi”.
Sarà proprio la Chiesa Romana – v.
episodio di Gregorio I Magno- che, nel corso dei secoli, rappresenterà una
delle istanze più significative di condanna dell’antichità, simbolo di un’epoca
“da dimenticare”.
L’allontanamento più radicale dal mondo
classico in Italia si ha, tuttavia, con l’avvento dei Longobardi. Rispetto agli
altri popoli germanici, quello dei longobardi era, infatti, il popolo che meno
aveva subito quel “processo di romanizzazione” a cui erano state sottoposte le
tribù che da secoli popolavano le zone di confine dell’Impero. Tale condizione
portò la corrente ottocentesca dei Germanisti a considerare il popolo
Longobardo il “modello”, per eccellenza, dei popoli germanici, rappresentante
del “germanesimo” quale categoria generale di un comune sentire giuridico.
In effetti, la lontananza dalla romanità
è ben percepibile nel modo attraverso il quale si andò strutturando il regno
longobardo, il quale rispecchiava un tipo di potere del “capo” che non tiene
conto del concetto romano di “potere pubblico”, separato da quello privato,
concentrandosi, piuttosto, nelle concrete modalità di esercizio di detto
potere. La sovranità dei duces, posti
a capo di altri gruppi di tribù, infatti, derivava la propria “legittimazione”
dalla necessità di tali comunità di assoggettarsi ad un re-condottiero che li
guidasse nelle campagne di conquista. Una volta terminate tali campagne i vari
gruppi tornavano ad organizzarsi in tanti ducati autosufficienti che non
necessitavano, dunque, di una giurisdizione e burocrazia centrali per il
governo del popolo, confinando il ruolo del re a quello di mero “garante della
pace”.
L’insediamento in Italia, sotto la guida
del re Alboino, avvenne rapidamente
e in maniera non omogenea: nel 569 travalicarono le Alpi settentrionali
cominciando a stanziarsi in tutta la parte appenninica – includendo nella
conquista molte città, come Milano, che erano state di notevole importanza per
l’Impero- fino a Benevento, nell’Italia meridionale.
Dopo i primi due re, il regno longobardo
subisce un decennio di anarchia durante il quale si inaspriscono i contrasti
con gli insediamenti bizantini confinanti. Solo la necessità di mantenimento
della pace spingerà i vari gruppi a ricostituire la sovranità regale,
trasferendo nel 584 ad Autari, quale nuovo rex, metà dei beni dei duchi dei
diversi territori longobardi al fine di conferirgli le forze -economiche-
necessarie all’esercizio del potere. Altro esempio questo della concretezza del
potere esercitato dai re longobardi: essi derivano la propria autorità dalla
concreta capacità di mantenere la pace, ossia, dalla forza.
Poche sono le fonti scritte che
testimoniano la vita e le usanze di questo popolo:
- La “Historia Longobardorum” di Paolo
Diacono (780);
-Documenti conservati negli archivi
delle chiese, per lo più riguardanti donazioni fatte alle chiese stesse;
- una legislazione longobarda, l’Editto di Rotari.
Per quanto attiene alla legislazione
essa sopraggiunge molto più tardi rispetto alla strutturazione primitiva del
regno: nel 643 Rotari promulga il
suo editto, dettato principalmente dalla necessità di ridurre le faide tra
gruppi.
La Scuola Storica ha fornito una libera
e particolarmente svincolata dal dato storico interpretazione dell’Editto di
Rotari quale paradigma del complesso di istituti caratterizzanti l’antico
diritto germanico, inteso quale diritto unitario.
In particolare, a differire
profondamente dal diritto romano sarebbe, secondo i germanisti, l’idea di legge
emergente dall’Editto: la legge germanica non sarebbe, infatti, stata, come a
Roma, l’imposizione dell’imperatore-legislatore ed espressione scritta della
sua volontà, ma un accordo tra il sovrano ed il popolo e dunque espressione
diretta del Volksgeist.
In tale prospettiva, dunque, l’intero
Editto altro non sarebbe che la “raccolta” da parte del re delle antiche
consuetudini germaniche, presentate al popolo per farle approvare, in ossequio
a quell’idea di collegialità e condivisione del potere che la scuola
germanistica ha voluto vedere nella strutturazione del popolo longobardo.
È questa l’interpretazione
romantica-ottocentesca della cerimonia, denominata Gairethinx, attraverso la quale l’Editto di Rotari venne
promulgato: una cerimonia mediante la quale il popolo in armi riunito in
assemblea (thinx) approvava la legge battendo le lance (gaire) sugli scudi.
Tale teoria è stata confutata mediante
argomenti sottili e, talvolta, filologici.
1. Contesto
storico nel quale l’Editto viene promulgato. Nel 643, infatti, Rotari
stava cominciando una nuova conquista dei territori della Lunigiana:
necessitava dunque del consenso di quella parte dei soldati, gli Arimanni, che
rappresentava la forza principale dell’esercito.
Per garantirsi una tale coesione di
forze accolse le richieste di tali gruppi militari che, logorati dalle esose
richieste, da parte dei nobili più potenti, di riparazione pecuniaria alle
offese ricevute, cercavano nell’Editto un contenimento e una fissazione dei
criteri per la riparazione pecuniaria al fine di calmierare, una volta per
tutte, le pretese di chi richiedeva grandi compensi per evitare la faida.
Ciò pare confermato dal fatto che il
testo della promulgazione si rivolge in via quasi esclusiva agli Arimanni.
2. Contenuto
dell’Editto. In effetti, a ben guardare, la prima metà del testo
normativo è un “tariffario” di prezzi corrispondenti alle varie offese che il
singolo avrebbe dovuto pagare per non incorrere nella faida. Lungi dall’essere
una consuetudine, tale metodo rappresenta, tuttavia, una soluzione contingente
a problemi concreti.
3. Problema
della Gairethinx. L’interpretazione storica della “cerimonia delle
lance” viene criticata da cortese con argomenti di tipo filologico. Egli nota
come la parola thinx sia la stessa utilizzata per indicare i riti della mancipatio e dell’emancipatio degli schiavi. D’altro canto, le scienze etimologiche
hanno sottolineato come la radice della parola sia la stessa che in altre
lingue indicherebbe la “cosa” (thing, eng. e ding, de. ). Thinx, allora,
null’altro sarebbe che un negozio formale utilizzato per trasferire cose di
grande valore. L’editto stesso allora non fu un accordo tra il re ed il suo
popolo ma un dono che egli concesse a quest’ultimo.
Per quanto attiene alla seconda parte
dell’Editto, essa contiene norme in materia di contratti e atti negoziali,
diritto di famiglia, diritto penale, ordalie e accertamento della verità.
Degna di nota è la caratteristica
principale comune a tutti i contratti e atti negoziali orientati tutti nel
medesimo senso di rispondere alle esigenze di certezza dei rapporti giuridici e
dunque qualificati da un forte formalismo “rituale”, segno esteriore della
reale volontà delle parti.
V’è chi ha visto in tale formalismo una
caratteristica del diritto germanico – v. teoria
germanista dell’apparenza del diritto. In realtà si tratta di una
trasposizione, in ambito laico, di usanze derivanti dal mondo ecclesiastico il
quale molto spesso, ricorreva al rito formale e pubblico per garantire la
certezza di quanto avvenuto.
Anche il processo ordalico, nonostante
le critiche da parte del clero stesso, denuncia un forte condizionamento
religioso: i principi del processo romano classico svaniscono di fronte ad una
società in cui la presenza di Dio è avvertita come costante. Non ha più senso,
in questa visione, mettere a confronto ed a contrasto due parti ma si affida
l’intero processo decisionale alla volontà di Dio che si crede manifestarsi con
segni esteriori.
In generale il processo longobardo è
caratterizzato dalla “stilizzazione” della faida: lo scontro tra famiglie viene
semplificato nel duello o affidato al giuramento delle parti e dei loro
testimoni– v coniuratores: vince la
controversia chi ha il maggior numero di testimoni pronti a giurare.
In tale contesto il giudice assume una
funzione totalmente diversa dal magistrato romano: mero arbitro addetto al controllo
del rispetto delle regole del gioco ordalico.
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martedì 17 ottobre 2017
Il calendario delle domande
Le domande che permetteranno di escludere alcune parti del programma dall'esame orale finale saranno rese pubbliche su questo blog alle ore 15:00 dei seguenti venerdì:
20 ottobre
3 novembre
17 novembre
1 dicembre
15 dicembre
Volta per volta si darà indicazione delle parti di programma esonerate con le risposte sufficienti alle domande.
Lezione del 16 ottobre 2017
Vedi anche lezione 11 ottobre 2016 con video
Con l’avvento di Giustiniano si assiste ad un’altra grande trasformazione delle fonti del diritto romano classico, culmine delle due, solo in apparenza confliggenti, tendenze alla semplificazione delle strutture societarie e giuridiche descritte nelle lezioni precedenti.
Con l’avvento di Giustiniano si assiste ad un’altra grande trasformazione delle fonti del diritto romano classico, culmine delle due, solo in apparenza confliggenti, tendenze alla semplificazione delle strutture societarie e giuridiche descritte nelle lezioni precedenti.
Salito al trono d’Oriente nel 527,
Giustiniano si prefisse lo scopo di rinnovare l’impero mediante un triplice
intervento, i cui effetti immediati
si rivelarono, tuttavia, fallaci o effimeri a causa della sproporzione di tale
programma rispetto ai mezzi a disposizione dell’imperatore, la cui personalità
e le cui opere si collocano in una posizione di controtendenza, quasi di
anacronismo.
1.Riconquista dei territori dell’impero
in Occidente.
Con una serie di campagne militari
Giustiniano riuscì riconquistare le terre -Africa del nord e penisola italiana
- sottrattegli dai Vandali e dagli Ostrogoti di Teoderico. In Italia, in
particolare, a seguito della riconquista, venne promulgata “su richiesta di
papa Virgilio” la compilazione giustinianea la cui pubblicazione sicuramente
contribuì alla conservazione dei manoscritti dell’epoca – v. Pandette Fiorentine. La reale
applicazione del diritto giustinianeo, tuttavia, restò di fatto nulla in una
società così semplificata come era quella italiana del VI secolo.
2.Pacificazione della Chiesa, nell’ottica
di rafforzare il potere temporale attraverso l’unitarietà del credo e della
divinità. La gerarchia piramidale religiosa riflette la complessità del mondo imperiale,
con le sue magistrature facenti capo all’imperatore. Entrambe le strutture
contribuiscono alla coesione delle comunità locali. Anche la politica religiosa
di Giustiniano risultò, tuttavia, un grande fallimento: l’unità di credo non fu
mai raggiunta, ed anzi varie eresie continuarono a confrontarsi anche dopo la
morte di Giustiniano.
3. Risistemazione delle fonti del
diritto e intervento nella formazione dei giuristi:
- Giustiniano, appena salito al trono, ordina ad una commissione imperiale presieduta dal giurista Triboniano la compilazione di un Codex (529) che, sul modello di quello Teodosiano, contenesse tutte le leggi fino ad allora vigenti. La particolarità di questo lavoro risiede nel fatto che non si tratta di una compilazione mera ma di una vera e propria ri-promulgazione che intervenne sulle norme che lo esigevano rimaneggiandole e riadattandole.
- La risoluzione di tutti gli eventi, trattati o nuovi che siano, deve trovare la propria disciplina all’interno del Codice che dunque assurge a canone di completezza di tutte le fonti vigenti. La parte più significativa di tali fonti è costituita dai rescripta, risposte dell’imperatore ai casi concreti prospettatigli, la cui soluzione era tuttavia suscettibile di applicazione analogica “a tutti i casi simili”, grazie alla spiegazione della regola generale sottesa alla risposta.
- I lavori
della commissione continuarono dando alla luce, nel 533 il Digesto, un’opera antologica
divisa in 50 libri, contenente frammenti tratti dalle opere dei
giureconsulti classici, riordinati sistematicamente, secondo la materia.
Questo tipo di fonte fornisce il tessuto logico che tiene insieme
l’apparato normativo. Permane virtualmente il paradigma leges- jura, tuttavia, il Digesto,
grazie alla promulgazione, ha lo stesso valore normativo dei testi del
Codex.
- Contemporaneamente
al Digesto, la commissione imperiale lavora ad un altro progetto, le Institutiones, un libro di testo
per gli studenti di diritto esemplato
sul modello di Gaio. Esse contengono una serie di elementi classici non
più utilizzati al tempo di Giustiniano ma che sono in grado di fornire le
linee guida per la comprensione di tutto il sistema.
- Nel 534, a
causa dell’ingente produzione legislativa successiva alla prima
pubblicazione del Codice, ne viene pubblicata una seconda edizione denominata
Codex repetitae praelectionis contenente
una seconda dichiarazione di completezza. Il nuovo codice, per
l’imperatore, dovrebbe essere un testo completo atto a regolare tutte le
fattispecie concrete. Al tempo stesso, però, Giustiniano si dice
consapevole che la natura è in eterno mutamento e che potrebbero
riscontrarsi fattispecie mai disciplinate prima. La loro risoluzione,
tuttavia, non potrà più essere demandata ad un procedimento logico di analogia iuris ma sarà lo stesso
imperatore, lex animata in terris,
a dover intervenire per disciplinare anche queste ultime.
- La raccolta
di Novellae, pertanto,
racchiude tutte le leggi promulgate da Giustiniano dopo la seconda
pubblicazione del Codex. È un libro aperto destinato a contenere tutta la
nuova produzione legislativa, la quale, tuttavia, molto spesso non
disciplina fatti realmente nuovi ma si limita a rimaneggiare istituti
preesistenti.
La prima reazione al Corpus Juris
Civilis fu, però, negativa. La diffusione e l’applicazione dell’enorme
complesso normativo furono difficili e, di fatto, fallaci. Le citazioni del
Codex e del Digesto di epoca immediatamente successiva sono scarse, pressoché
nulle. Più fortuna ebbero le Novelle giacché la più gran parte di esse contiene
norme sulla disciplina e l’organizzazione delle chiese e, dunque, meglio si
prestò alla copiatura da parte degli enti ecclesiastici. Esse vennero
addirittura semplificate e riassunte nella nota Epitome Iuliani e tradotte – parola per parola- in latino prendendo
il nome di Authenticum.
In quest’epoca, inoltre, si assiste
ancor più da vicino a quel fenomeno di volgarizzazione
sostanziale per cui i principi del diritto romano classico divennero sempre
più distinti da quelli del diritto di fatto praticato.
A cura di Chiara Casuccio
A cura di Chiara Casuccio
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