mercoledì 18 ottobre 2017

Lezione del 17 ottobre 2017


L’assetto della penisola italiana pochi anni dopo la morte di Giustiniano mutò rapidamente, con l’effetto di un ancora più radicale allontanamento dalla romanità classica.
Il territorio italiano cadde, infatti, sotto il controllo di poteri diversi: solo pochi territori rimasero – per lo più solo formalmente- sotto il dominio impero d’Oriente. La Sicilia, ad esempio, pur rimanendo per oltre un secolo il punto più strategico per l’impero bizantino all’interno del mediterraneo, venne gradualmente conquistata dagli arabi.
A Roma, inoltre, il Papa esercitava il proprio potere con una certa dose di ambiguità: rappresentante del potere imperiale a Roma, di fatto gestiva detto potere con indipendenza, traendo la propria autorità dal fatto di essere altresì il “Vescovo dei vescovi”.
Sarà proprio la Chiesa Romana – v. episodio di Gregorio I Magno- che, nel corso dei secoli, rappresenterà una delle istanze più significative di condanna dell’antichità, simbolo di un’epoca “da dimenticare”.
L’allontanamento più radicale dal mondo classico in Italia si ha, tuttavia, con l’avvento dei Longobardi. Rispetto agli altri popoli germanici, quello dei longobardi era, infatti, il popolo che meno aveva subito quel “processo di romanizzazione” a cui erano state sottoposte le tribù che da secoli popolavano le zone di confine dell’Impero. Tale condizione portò la corrente ottocentesca dei Germanisti a considerare il popolo Longobardo il “modello”, per eccellenza, dei popoli germanici, rappresentante del “germanesimo” quale categoria generale di un comune sentire giuridico.
In effetti, la lontananza dalla romanità è ben percepibile nel modo attraverso il quale si andò strutturando il regno longobardo, il quale rispecchiava un tipo di potere del “capo” che non tiene conto del concetto romano di “potere pubblico”, separato da quello privato, concentrandosi, piuttosto, nelle concrete modalità di esercizio di detto potere. La sovranità dei duces, posti a capo di altri gruppi di tribù, infatti, derivava la propria “legittimazione” dalla necessità di tali comunità di assoggettarsi ad un re-condottiero che li guidasse nelle campagne di conquista. Una volta terminate tali campagne i vari gruppi tornavano ad organizzarsi in tanti ducati autosufficienti che non necessitavano, dunque, di una giurisdizione e burocrazia centrali per il governo del popolo, confinando il ruolo del re a quello di mero “garante della pace”.
L’insediamento in Italia, sotto la guida del re Alboino, avvenne rapidamente e in maniera non omogenea: nel 569 travalicarono le Alpi settentrionali cominciando a stanziarsi in tutta la parte appenninica – includendo nella conquista molte città, come Milano, che erano state di notevole importanza per l’Impero- fino a Benevento, nell’Italia meridionale.
 Dopo i primi due re, il regno longobardo subisce un decennio di anarchia durante il quale si inaspriscono i contrasti con gli insediamenti bizantini confinanti. Solo la necessità di mantenimento della pace spingerà i vari gruppi a ricostituire la sovranità regale, trasferendo nel 584 ad Autari, quale nuovo rex, metà dei beni dei duchi dei diversi territori longobardi al fine di conferirgli le forze -economiche- necessarie all’esercizio del potere. Altro esempio questo della concretezza del potere esercitato dai re longobardi: essi derivano la propria autorità dalla concreta capacità di mantenere la pace, ossia, dalla forza.
Poche sono le fonti scritte che testimoniano la vita e le usanze di questo popolo:
- La “Historia Longobardorum” di Paolo Diacono (780);
-Documenti conservati negli archivi delle chiese, per lo più riguardanti donazioni fatte alle chiese stesse;
- una legislazione longobarda, l’Editto di Rotari.
Per quanto attiene alla legislazione essa sopraggiunge molto più tardi rispetto alla strutturazione primitiva del regno: nel 643 Rotari promulga il suo editto, dettato principalmente dalla necessità di ridurre le faide tra gruppi.
La Scuola Storica ha fornito una libera e particolarmente svincolata dal dato storico interpretazione dell’Editto di Rotari quale paradigma del complesso di istituti caratterizzanti l’antico diritto germanico, inteso quale diritto unitario.
In particolare, a differire profondamente dal diritto romano sarebbe, secondo i germanisti, l’idea di legge emergente dall’Editto: la legge germanica non sarebbe, infatti, stata, come a Roma, l’imposizione dell’imperatore-legislatore ed espressione scritta della sua volontà, ma un accordo tra il sovrano ed il popolo e dunque espressione diretta del Volksgeist.
In tale prospettiva, dunque, l’intero Editto altro non sarebbe che la “raccolta” da parte del re delle antiche consuetudini germaniche, presentate al popolo per farle approvare, in ossequio a quell’idea di collegialità e condivisione del potere che la scuola germanistica ha voluto vedere nella strutturazione del popolo longobardo.
È questa l’interpretazione romantica-ottocentesca della cerimonia, denominata Gairethinx, attraverso la quale l’Editto di Rotari venne promulgato: una cerimonia mediante la quale il popolo in armi riunito in assemblea (thinx) approvava la legge battendo le lance (gaire) sugli scudi.
Tale teoria è stata confutata mediante argomenti sottili e, talvolta, filologici.
1. Contesto storico nel quale l’Editto viene promulgato. Nel 643, infatti, Rotari stava cominciando una nuova conquista dei territori della Lunigiana: necessitava dunque del consenso di quella parte dei soldati, gli Arimanni, che rappresentava la forza principale dell’esercito.
Per garantirsi una tale coesione di forze accolse le richieste di tali gruppi militari che, logorati dalle esose richieste, da parte dei nobili più potenti, di riparazione pecuniaria alle offese ricevute, cercavano nell’Editto un contenimento e una fissazione dei criteri per la riparazione pecuniaria al fine di calmierare, una volta per tutte, le pretese di chi richiedeva grandi compensi per evitare la faida.
Ciò pare confermato dal fatto che il testo della promulgazione si rivolge in via quasi esclusiva agli Arimanni.
2. Contenuto dell’Editto. In effetti, a ben guardare, la prima metà del testo normativo è un “tariffario” di prezzi corrispondenti alle varie offese che il singolo avrebbe dovuto pagare per non incorrere nella faida. Lungi dall’essere una consuetudine, tale metodo rappresenta, tuttavia, una soluzione contingente a problemi concreti.
3. Problema della Gairethinx. L’interpretazione storica della “cerimonia delle lance” viene criticata da cortese con argomenti di tipo filologico. Egli nota come la parola thinx sia la stessa utilizzata per indicare i riti della mancipatio e dell’emancipatio degli schiavi. D’altro canto, le scienze etimologiche hanno sottolineato come la radice della parola sia la stessa che in altre lingue indicherebbe la “cosa” (thing, eng. e ding, de. ). Thinx, allora, null’altro sarebbe che un negozio formale utilizzato per trasferire cose di grande valore. L’editto stesso allora non fu un accordo tra il re ed il suo popolo ma un dono che egli concesse a quest’ultimo.
Per quanto attiene alla seconda parte dell’Editto, essa contiene norme in materia di contratti e atti negoziali, diritto di famiglia, diritto penale, ordalie e accertamento della verità.
Degna di nota è la caratteristica principale comune a tutti i contratti e atti negoziali orientati tutti nel medesimo senso di rispondere alle esigenze di certezza dei rapporti giuridici e dunque qualificati da un forte formalismo “rituale”, segno esteriore della reale volontà delle parti.
V’è chi ha visto in tale formalismo una caratteristica del diritto germanico – v. teoria germanista dell’apparenza del diritto. In realtà si tratta di una trasposizione, in ambito laico, di usanze derivanti dal mondo ecclesiastico il quale molto spesso, ricorreva al rito formale e pubblico per garantire la certezza di quanto avvenuto.
Anche il processo ordalico, nonostante le critiche da parte del clero stesso, denuncia un forte condizionamento religioso: i principi del processo romano classico svaniscono di fronte ad una società in cui la presenza di Dio è avvertita come costante. Non ha più senso, in questa visione, mettere a confronto ed a contrasto due parti ma si affida l’intero processo decisionale alla volontà di Dio che si crede manifestarsi con segni esteriori.
In generale il processo longobardo è caratterizzato dalla “stilizzazione” della faida: lo scontro tra famiglie viene semplificato nel duello o affidato al giuramento delle parti e dei loro testimoni– v coniuratores: vince la controversia chi ha il maggior numero di testimoni pronti a giurare.
In tale contesto il giudice assume una funzione totalmente diversa dal magistrato romano: mero arbitro addetto al controllo del rispetto delle regole del gioco ordalico.

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