L’ultimo aspetto del diritto longobado da
analizzare è l'istituto del mundio,
che caratterizza i rapporti tra il padre/marito e la donna.
Si è pensato che il suo contenuto fosse simile a
quello della potestas romana; in realtà il
vero contenuto del mundio è di carattere patrimoniale le cui concrete forme di
applicazione si avvicinano molto più a quelle della tutela esercitata dal
tutore sul pupillo che non alla soggezione della donna al padre o al marito.
Esso, dunque, si sostanzia in un potere
di tutela volto a controllare i nuclei patrimoniali di considerevole
entità. Tale aspetto è particolarmente
evidente nelle modalità di trasferimento dei beni della donna: essa può infatti
trasferire i propri beni mediante la sua volontà, è necessario, però, il
consenso del marito o del padre ai fini del perfezionamento dell’atto di
trasferimento.
La prevalenza di contenuto patrimoniale
è confermata dal fatto che l’istituto del mundio venne utilizzato anche per la
costituzione, da parte di alcune famiglie longobarde, di un nucleo patrimoniale
attorno ad enti ecclesiastici: anche in tal caso, infatti, esso veniva posto a
garanzia della conservazione del patrimonio, conferendogli, mediante gli
ostacoli che esso imponeva al trasferimento del nucleo patrimoniale, maggiore
stabilità.
L’ottavo secolo è un’epoca
caratterizzata da particolare complessità.
1. Il regno longobardo, dopo una prima
fase embrionale, immediatamente successiva allo stanziamento in Italia, subì
gradualmente un’evoluzione, determinata, soprattutto dalla vicinanza e dalle
progressive aperture alla chiesa da parte dei re longobardi.
Liutprando, ad esempio, mostrò un
atteggiamento di particolare favore nei confronti del papato e dei territori
antistanti quello di Roma. La sua figura viene, inoltre, ricordata anche per
aver emanato una compilazione le cui norme hanno la particolare caratteristica
di essere strettamente legate al caso concreto che hanno risolto. La forte
impostazione casistica è confermata dal fatto che molte delle norme contenute
nella legislazione di Liutprando cominciano con la formula del “si quis” tipica delle risposte del re a
domande concrete.
La situazione per i territori bizantini
della penisola italiana muta, tuttavia, con l’avvento di Astolfo che, con le
sue nuove campagne di espansione, minacciava l’invasione dei territori intorno
Roma.
2. A complicare ulteriormente il quadro
si aggiunga anche la pressione, subita da tutta l’area mediterranea, compreso
il papato, di una nuova potenza: l’Islam. Ad un secolo dalla sua fondazione,
agli inizi, cioè, dell’VIII sec., la potenza araba ha già conquistato tutta
l’Africa settentrionale, penetrando poi nella penisola iberica, ultima enclave
della romanità classica. Ad oriente, l’esercito islamico era avanzato fino alle
porte di Costantinopoli, minacciandone la sopravvivenza, ma venne fermato nel
719 dall’imperatore Leone III.
Questa nuova realtà, che per molti
aspetti si presentava al mondo occidentale molto diversa presentava, altresì,
elementi di contatto con esso. Da un lato l’influsso religioso monoteista
condivideva con le dottrine ariane e con quelle che influenzeranno l’eresia
iconoclasta in oriente il concetto unitario di divinità. Un altro esempio di
vicinanza ad istituti del mondo occidentale lo ritroviamo nel ruolo
assistenziale svolto dalle Waqf,
fondazioni islamiche, concretizzazioni dell’obbligo di fare la carità che è uno
dei cinque pilastri dell’Islam.
La
rapida espansione dell’armata araba si spinse fino al nord della Francia, dove
l’avanzata venne respinta dall’esercito franco di Carlo Martello a Poitiers nel
732.
3. Ultimo elemento di complessità è
rappresentato dai difficili rapporti tra Roma e Bisanzio: se da un lato,
infatti, il contatto tra papato ed impero era ostacolato dalla presenza, nel
mediterraneo, della pirateria araba, al lato opposto, la stabilità dell’autorità
papale subì le minacce derivanti dalla grande crisi religiosa che in Oriente
aveva portato il vescovo di Costantinopoli e l’imperatore stesso ad abbracciare
l’eresia iconoclasta. Tale situazione portò ad una rottura definitiva dei
rapporti tra papato ed impero nella prima metà dell’ottavo secolo.
Considerando il quadro appena descritto,
si può ora comprendere la teoria di Cortese secondo la quale la
riunificazione territoriale e religiosa dell’Impero d’Occidente furono il
frutto di una lenta ma sicura attività diplomatica svolta dalla Sede Pontificia
che, minacciata da più fronti, ripose le speranze di rinnovazione nel più
potente e cattolico dei regni barbarici: quello dei Franchi.
L’esercito di Carlo Martello Primo
Ministro (Maggiordomo di palazzo) del regno franco aveva, infatti, già
dimostrato le proprie capacità respingendo l’avanzata araba oltre i Pirenei.
Occorreva tuttavia che a tale potenza corrispondesse un titolo idoneo ad
esercitarla legittimamente.
Fu così nel 751 che papa Zaccaria legittimò
la deposizione da parte di Pipino il Breve della dinastia dei Merovingi, re dei
Franchi che tuttavia non esercitavano operativamente la funzione di governo di
cui erano investiti.
Giocando sull’ambiguità della propria
figura di funzionario imperiale e pontefice al tempo stesso il papa attinse
tuttavia alla propria autorità di vicario di Cristo per autorizzare Pipino ad
esercitare la potestas che di fatto già gli era propria. Zaccaria nella
decretale con cui legittimò “il colpo di stato” pose l’accento sull’importanza
di una corrispondenza tra la forma e la sostanza dell’esercizio del potere (era
necessario, cioè, che chi esercitava di fatto i poteri vi fosse legittimato
anche formalmente).
Pipino venne, indi, unto dal vescovo,
come accadeva per tutti i re franchi secondo un’antica cerimonia sacramentale
risalente al tempo della conversione di Clodoveo. In quanto sancita da un sacramento
l’incoronazione di Pipino era dotata del carattere dell’indissolubilità e
dell’irripetibilità. Nel 754, tuttavia, papa Stefano II si recò personalmente
in Francia e, nella cattedrale di Saint Denis, diede luogo ad una seconda
cerimonia dell’unzione.
La tesi di Cortese riguardo questa
seconda cerimonia è particolarmente convincente: in quanto funzionario
dell’impero, rappresentante della maestà laica, il papa, con questa seconda
unzione, sta conferendo a Pipino non già il titolo di “re dei Franchi”, ma
quello di “patrizio dei romani”, offrendogli, con questa consacrazione, la
carriera bizantina romana tipica cursus
honorum classico che avrebbe portato al titolo imperiale.
L’idea di Cortese viene confermata anche
da un documento falso: la famosa Donatio Costantini. In un tale contesto, il
falso documento contenente la donazione che Costantino avrebbe fatto al Papa
dei territori di Roma, quelli circostanti e“poi di tutte le isole del mare”
testimonia la descritta tendenza della Chiesa ad attribuirsi un potere
secolare.
Fu proprio la Chiesa,
con l’ausilio della monarchia Franca, a determinare la caduta del regno
barbarico dei Longobardi: nel 774 Carlo Magno riconquista l’Italia longobarda e
nell’800 viene incoronato imperatore del Sacro Romano Impero d’Occidente. La
ripresa dell’ideale romano e la riunificazione territoriale e religiosa
dell’Impero vennero inizialmente accolte con orgoglio da Carlo Magno, il quale
cominciò ad utilizzare titoli e forme tipiche dell’impero romano: non può
dunque ritenersi valida la teoria secondo la quale, nonostante l’incoronazione
imperiale, continuò a considerarsi un “sovrano germanico”, primo tra i suoi
pari.
A cura di Chiara Casuccio
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