venerdì 20 ottobre 2017

Lezione del 18 ottobre 2017

L’ultimo aspetto del diritto longobado da analizzare è l'istituto del mundio, che caratterizza i rapporti tra il padre/marito e la donna.
Si è pensato che il suo contenuto fosse simile a quello della potestas romana; in realtà il vero contenuto del mundio è di carattere patrimoniale le cui concrete forme di applicazione si avvicinano molto più a quelle della tutela esercitata dal tutore sul pupillo che non alla soggezione della donna al padre o al marito.
Esso, dunque, si sostanzia in un potere di tutela volto a controllare i nuclei patrimoniali di considerevole entità.  Tale aspetto è particolarmente evidente nelle modalità di trasferimento dei beni della donna: essa può infatti trasferire i propri beni mediante la sua volontà, è necessario, però, il consenso del marito o del padre ai fini del perfezionamento dell’atto di trasferimento.
La prevalenza di contenuto patrimoniale è confermata dal fatto che l’istituto del mundio venne utilizzato anche per la costituzione, da parte di alcune famiglie longobarde, di un nucleo patrimoniale attorno ad enti ecclesiastici: anche in tal caso, infatti, esso veniva posto a garanzia della conservazione del patrimonio, conferendogli, mediante gli ostacoli che esso imponeva al trasferimento del nucleo patrimoniale, maggiore stabilità.
L’ottavo secolo è un’epoca caratterizzata da particolare complessità.
1. Il regno longobardo, dopo una prima fase embrionale, immediatamente successiva allo stanziamento in Italia, subì gradualmente un’evoluzione, determinata, soprattutto dalla vicinanza e dalle progressive aperture alla chiesa da parte dei re longobardi.
Liutprando, ad esempio, mostrò un atteggiamento di particolare favore nei confronti del papato e dei territori antistanti quello di Roma. La sua figura viene, inoltre, ricordata anche per aver emanato una compilazione le cui norme hanno la particolare caratteristica di essere strettamente legate al caso concreto che hanno risolto. La forte impostazione casistica è confermata dal fatto che molte delle norme contenute nella legislazione di Liutprando cominciano con la formula del “si quis” tipica delle risposte del re a domande concrete.
La situazione per i territori bizantini della penisola italiana muta, tuttavia, con l’avvento di Astolfo che, con le sue nuove campagne di espansione, minacciava l’invasione dei territori intorno Roma.
2. A complicare ulteriormente il quadro si aggiunga anche la pressione, subita da tutta l’area mediterranea, compreso il papato, di una nuova potenza: l’Islam. Ad un secolo dalla sua fondazione, agli inizi, cioè, dell’VIII sec., la potenza araba ha già conquistato tutta l’Africa settentrionale, penetrando poi nella penisola iberica, ultima enclave della romanità classica. Ad oriente, l’esercito islamico era avanzato fino alle porte di Costantinopoli, minacciandone la sopravvivenza, ma venne fermato nel 719 dall’imperatore Leone III.
Questa nuova realtà, che per molti aspetti si presentava al mondo occidentale molto diversa presentava, altresì, elementi di contatto con esso. Da un lato l’influsso religioso monoteista condivideva con le dottrine ariane e con quelle che influenzeranno l’eresia iconoclasta in oriente il concetto unitario di divinità. Un altro esempio di vicinanza ad istituti del mondo occidentale lo ritroviamo nel ruolo assistenziale svolto dalle Waqf, fondazioni islamiche, concretizzazioni dell’obbligo di fare la carità che è uno dei cinque pilastri dell’Islam.
 La rapida espansione dell’armata araba si spinse fino al nord della Francia, dove l’avanzata venne respinta dall’esercito franco di Carlo Martello a Poitiers nel 732.
3. Ultimo elemento di complessità è rappresentato dai difficili rapporti tra Roma e Bisanzio: se da un lato, infatti, il contatto tra papato ed impero era ostacolato dalla presenza, nel mediterraneo, della pirateria araba, al lato opposto, la stabilità dell’autorità papale subì le minacce derivanti dalla grande crisi religiosa che in Oriente aveva portato il vescovo di Costantinopoli e l’imperatore stesso ad abbracciare l’eresia iconoclasta. Tale situazione portò ad una rottura definitiva dei rapporti tra papato ed impero nella prima metà dell’ottavo secolo.
Considerando il quadro appena descritto, si può ora comprendere la teoria di Cortese secondo la quale la riunificazione territoriale e religiosa dell’Impero d’Occidente furono il frutto di una lenta ma sicura attività diplomatica svolta dalla Sede Pontificia che, minacciata da più fronti, ripose le speranze di rinnovazione nel più potente e cattolico dei regni barbarici: quello dei Franchi.  
L’esercito di Carlo Martello Primo Ministro (Maggiordomo di palazzo) del regno franco aveva, infatti, già dimostrato le proprie capacità respingendo l’avanzata araba oltre i Pirenei. Occorreva tuttavia che a tale potenza corrispondesse un titolo idoneo ad esercitarla legittimamente.
Fu così nel 751 che papa Zaccaria legittimò la deposizione da parte di Pipino il Breve della dinastia dei Merovingi, re dei Franchi che tuttavia non esercitavano operativamente la funzione di governo di cui erano investiti.
Giocando sull’ambiguità della propria figura di funzionario imperiale e pontefice al tempo stesso il papa attinse tuttavia alla propria autorità di vicario di Cristo per autorizzare Pipino ad esercitare la potestas che di fatto già gli era propria. Zaccaria nella decretale con cui legittimò “il colpo di stato” pose l’accento sull’importanza di una corrispondenza tra la forma e la sostanza dell’esercizio del potere (era necessario, cioè, che chi esercitava di fatto i poteri vi fosse legittimato anche formalmente).
Pipino venne, indi, unto dal vescovo, come accadeva per tutti i re franchi secondo un’antica cerimonia sacramentale risalente al tempo della conversione di Clodoveo. In quanto sancita da un sacramento l’incoronazione di Pipino era dotata del carattere dell’indissolubilità e dell’irripetibilità. Nel 754, tuttavia, papa Stefano II si recò personalmente in Francia e, nella cattedrale di Saint Denis, diede luogo ad una seconda cerimonia dell’unzione.
La tesi di Cortese riguardo questa seconda cerimonia è particolarmente convincente: in quanto funzionario dell’impero, rappresentante della maestà laica, il papa, con questa seconda unzione, sta conferendo a Pipino non già il titolo di “re dei Franchi”, ma quello di “patrizio dei romani”, offrendogli, con questa consacrazione, la carriera bizantina romana tipica cursus honorum classico che avrebbe portato al titolo imperiale.
L’idea di Cortese viene confermata anche da un documento falso: la famosa Donatio Costantini. In un tale contesto, il falso documento contenente la donazione che Costantino avrebbe fatto al Papa dei territori di Roma, quelli circostanti e“poi di tutte le isole del mare” testimonia la descritta tendenza della Chiesa ad attribuirsi un potere secolare.
Fu proprio la Chiesa, con l’ausilio della monarchia Franca, a determinare la caduta del regno barbarico dei Longobardi: nel 774 Carlo Magno riconquista l’Italia longobarda e nell’800 viene incoronato imperatore del Sacro Romano Impero d’Occidente. La ripresa dell’ideale romano e la riunificazione territoriale e religiosa dell’Impero vennero inizialmente accolte con orgoglio da Carlo Magno, il quale cominciò ad utilizzare titoli e forme tipiche dell’impero romano: non può dunque ritenersi valida la teoria secondo la quale, nonostante l’incoronazione imperiale, continuò a considerarsi un “sovrano germanico”, primo tra i suoi pari.
A cura di Chiara Casuccio

Nessun commento: