Cinque e seicento sono le epoche in cui si realizza un forte particolarismo
del diritto in tutta Europa, in cui i diversi assetti costituzionali portano a
diverse sperimentazioni legislative nell’ambito dei vari regni nazionali.
La letteratura giuridica in questo periodo assunse due grandi orientamenti:
1. Il primo filone
letterario è caratterizzato dal particolarismo
delle esperienze giuridiche. È questo un genere di letteratura in cui si
evidenzia nettamente il carattere nazionale delle legislazioni e del diritto.
Gran parte di questa produzione letteraria è composta da libri di strettissimo
uso pratico: enciclopedie, dizionari giuridici, raccolte di giurisprudenza che
racchiudono le decisiones di
tribunali come la Sacra Rota, raggruppate poi sotto i nomi dei presidenti avvicendatisi,
nel tempo, nell’amministrazione della giustizia ecclesiastica. Questo movimento
produce una sempre più radicata nazionalizzazione delle opere ed è strettamente
legato ad un uso, anche in ambito giuridico, delle lingue nazionali a scapito
della lingua latina.
Per quanto riguarda l’Italia, un esempio di queste tendenze è rappresentato
dalla figura del Cardinale Giovanni
Battista De Luca. Egli fu un avvocato attivo nei due grandi regni di Napoli
e Pontificio; sistemò la sua attività di consulente in una grandissima
raccolta, il Theatrum veritatis et
justitiae, divisa in 15 libri, in cui tentò di descrivere in modo più o
meno completo e razionale il complesso sistema di diritto dell’Italia
centro-meridionale, fatto di tante corti diverse e differenti fonti in
concorrenza tra loro. Quest’opera, in quanto frutto dell’attività pratica del
suo autore, è fortemente legata alla prassi e ne rappresenta gli assetti. In
essa, ad esempio, il Cardinale descrive la struttura giuridica delle
concessioni, dei fedecommessi e maggioraschi, del giuspatronato, dei benefici
ecclesiastici etc. De Luca, inoltre, fu uno dei promotori dell’uso della lingua
volgare italiana per la trattazione di tematiche giuridiche; il suo Dottor volgare del 1673, un compendio
di diritto, è un chiaro esempio di questo nuovo modo di esposizione.
Lo stretto contatto tra dottrina e prassi di questi secoli fu, insieme, il
frutto e la causa di un nuovo metodo di formazione del ceto dei giuristi:
sebbene ancora obbligatorie per il patrocinio nelle corti, le università, con
la loro educazione statica e ripetitiva erano divenute luoghi di decadenza. Le
vere “palestre” per l’esercitazione, soprattutto pratica, dei giuristi divennero,
infatti le accademie e gli studi legali ove, accanto alla
formazione giuridica si affiancavano l’attività pratica e la discussione di
casi concreti.
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2. Il secondo
indirizzo è, invece, rappresentato da quella letteratura giuridica avente valore sovranazionale. Tale corrente è, in realtà, di vastissima entità e
racchiude al suo interno orientamenti multiformi che, tuttavia, presentano la
comune caratteristica di teorizzare e/o enfatizzare in grandi enunciazioni di
principi i diritti fondamentali della persona. L’idea comune a questo nuovo
movimento, che prende il nome di Giusnaturalismo,
è quella per cui vi sono alcuni diritti che preesistono alla nascita dello
stato e la cui tutela non dipende dalla tutela offerta dall’ordinamento
giuridico di uno stato; essa dovrebbe essere garantita alla persona in quanto
tale poiché è nella natura stessa che tali diritti sono nati. La corrente
giusnaturalista ebbe forte espansione negli ambienti protestanti dell’Europa
centro-settentrionale come Inghilterra, Olanda e Germania, tuttavia la sua
premessa è strettamente legata alle elaborazioni dottrinali della scuola
teologica di Salamanca, centro vivissimo di studio del pensiero di S. Tommaso
d’Aquino. Nella Spagna cattolica dei secoli XVI e XVII al centro della discussione
teologica e poi anche giuridica degli intellettuali del tempo fu posta la
questione del trattamento e dei diritti delle popolazioni conquistate dalla
corona spagnola nel nuovo mondo. Tre grandi nomi della scuola teologica di
Salamanca influenzarono, con la loro visione tomistica del mondo, il mondo del
diritto: Francisco Vitoria (1546), Bartolomeo de Las Casas (1566) e Francisco
Suarez (1617). Essi,
influenzati dalle note vicende storiche, affermarono il principio per cui
esistono dei diritti fondamentali della persona in quanto umana la cui
creazione non deriva da una concessione fatta dallo stato ma è insita nella
natura stessa intesa come fatto naturale – e non più come astrazione,
anch’essa, dell’ordinamento, come era stato in Giustiniano. Tale visione del
mondo influenzò il pensiero di molti intellettuali olandesi durante la
temporanea riunione del potere imperiale e della spagnola nelle mani di Carlo
V. Uno di questi pensatori, fortemente coinvolto nelle vicende pratiche dei
Paesi Bassi, fu Huig de Groot che nel 1625 pubblicò a Parigi il suo De Jure bellis ac pacis, manifesto
della corrente giusnaturalista dei primi decenni del 500. Grozio descrive il
funzionamento dell’ordinamento proprio a partire dalla considerazione che,
anche durante il confronto di due stati vi sarebbero dei diritti fondamentali
della persona imprescindibili in quanto preesistenti agli ordinamenti stessi.
Lo stato, infatti, nascerebbe proprio dalla messa in pratica di tali diritti e,
più in particolare, dalla messa in atto di quel principio fondamentale
riassumibile nel brocardo “pacta sunt
servanda” (idea del contratto sociale). L’opera poi prosegue nella descrizione
di tutta una serie di altre strutture giuridiche prodotte dalla natura stessa.
La natura groziana, tuttavia, è una natura artificiale, barocca. Si identifica,
in definitiva, con la cultura occidentale e la sua stratificazione (storia, mitologia, teologia).
A cura di Chiara Casuccio
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