mercoledì 7 dicembre 2016

Lezione del 6 dicembre 2016

Cinque e seicento sono le epoche in cui si realizza un forte particolarismo del diritto in tutta Europa, in cui i diversi assetti costituzionali portano a diverse sperimentazioni legislative nell’ambito dei vari regni nazionali.
La letteratura giuridica in questo periodo assunse due grandi orientamenti:
1. Il primo filone letterario è caratterizzato dal particolarismo delle esperienze giuridiche. È questo un genere di letteratura in cui si evidenzia nettamente il carattere nazionale delle legislazioni e del diritto. Gran parte di questa produzione letteraria è composta da libri di strettissimo uso pratico: enciclopedie, dizionari giuridici, raccolte di giurisprudenza che racchiudono le decisiones di tribunali come la Sacra Rota, raggruppate poi sotto i nomi dei presidenti avvicendatisi, nel tempo, nell’amministrazione della giustizia ecclesiastica. Questo movimento produce una sempre più radicata nazionalizzazione delle opere ed è strettamente legato ad un uso, anche in ambito giuridico, delle lingue nazionali a scapito della lingua latina.
Per quanto riguarda l’Italia, un esempio di queste tendenze è rappresentato dalla figura del Cardinale Giovanni Battista De Luca. Egli fu un avvocato attivo nei due grandi regni di Napoli e Pontificio; sistemò la sua attività di consulente in una grandissima raccolta, il Theatrum veritatis et justitiae, divisa in 15 libri, in cui tentò di descrivere in modo più o meno completo e razionale il complesso sistema di diritto dell’Italia centro-meridionale, fatto di tante corti diverse e differenti fonti in concorrenza tra loro. Quest’opera, in quanto frutto dell’attività pratica del suo autore, è fortemente legata alla prassi e ne rappresenta gli assetti. In essa, ad esempio, il Cardinale descrive la struttura giuridica delle concessioni, dei fedecommessi e maggioraschi, del giuspatronato, dei benefici ecclesiastici etc. De Luca, inoltre, fu uno dei promotori dell’uso della lingua volgare italiana per la trattazione di tematiche giuridiche; il suo Dottor volgare del 1673, un compendio di diritto, è un chiaro esempio di questo nuovo modo di esposizione.
Lo stretto contatto tra dottrina e prassi di questi secoli fu, insieme, il frutto e la causa di un nuovo metodo di formazione del ceto dei giuristi: sebbene ancora obbligatorie per il patrocinio nelle corti, le università, con la loro educazione statica e ripetitiva erano divenute luoghi di decadenza. Le vere “palestre” per l’esercitazione, soprattutto pratica, dei giuristi divennero, infatti le accademie e gli studi legali ove, accanto alla formazione giuridica si affiancavano l’attività pratica e la discussione di casi concreti.

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2. Il secondo indirizzo è, invece, rappresentato da quella letteratura giuridica avente valore sovranazionale. Tale corrente è, in realtà, di vastissima entità e racchiude al suo interno orientamenti multiformi che, tuttavia, presentano la comune caratteristica di teorizzare e/o enfatizzare in grandi enunciazioni di principi i diritti fondamentali della persona. L’idea comune a questo nuovo movimento, che prende il nome di Giusnaturalismo, è quella per cui vi sono alcuni diritti che preesistono alla nascita dello stato e la cui tutela non dipende dalla tutela offerta dall’ordinamento giuridico di uno stato; essa dovrebbe essere garantita alla persona in quanto tale poiché è nella natura stessa che tali diritti sono nati. La corrente giusnaturalista ebbe forte espansione negli ambienti protestanti dell’Europa centro-settentrionale come Inghilterra, Olanda e Germania, tuttavia la sua premessa è strettamente legata alle elaborazioni dottrinali della scuola teologica di Salamanca, centro vivissimo di studio del pensiero di S. Tommaso d’Aquino. Nella Spagna cattolica dei secoli XVI e XVII al centro della discussione teologica e poi anche giuridica degli intellettuali del tempo fu posta la questione del trattamento e dei diritti delle popolazioni conquistate dalla corona spagnola nel nuovo mondo. Tre grandi nomi della scuola teologica di Salamanca influenzarono, con la loro visione tomistica del mondo, il mondo del diritto: Francisco Vitoria (1546), Bartolomeo de Las Casas (1566) e Francisco Suarez (1617). Essi, influenzati dalle note vicende storiche, affermarono il principio per cui esistono dei diritti fondamentali della persona in quanto umana la cui creazione non deriva da una concessione fatta dallo stato ma è insita nella natura stessa intesa come fatto naturale – e non più come astrazione, anch’essa, dell’ordinamento, come era stato in Giustiniano. Tale visione del mondo influenzò il pensiero di molti intellettuali olandesi durante la temporanea riunione del potere imperiale e della spagnola nelle mani di Carlo V. Uno di questi pensatori, fortemente coinvolto nelle vicende pratiche dei Paesi Bassi, fu Huig de Groot che nel 1625 pubblicò a Parigi il suo De Jure bellis ac pacis, manifesto della corrente giusnaturalista dei primi decenni del 500. Grozio descrive il funzionamento dell’ordinamento proprio a partire dalla considerazione che, anche durante il confronto di due stati vi sarebbero dei diritti fondamentali della persona imprescindibili in quanto preesistenti agli ordinamenti stessi. Lo stato, infatti, nascerebbe proprio dalla messa in pratica di tali diritti e, più in particolare, dalla messa in atto di quel principio fondamentale riassumibile nel brocardo “pacta sunt servanda(idea del contratto sociale). L’opera poi prosegue nella descrizione di tutta una serie di altre strutture giuridiche prodotte dalla natura stessa. La natura groziana, tuttavia, è una natura artificiale, barocca. Si identifica, in definitiva, con la cultura occidentale e la sua stratificazione  (storia, mitologia, teologia).
A cura di Chiara Casuccio

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