Il progressivo consolidamento del
potere ecclesiastico costituisce uno degli elementi più
innovativi
che caratterizzano il passaggio dal mondo antico a quello medioevale.
Indiscusso protagonista di tale momento è, infatti, il cristianesimo che
introduce nel mondo occidentale alcuni importanti cambiamenti. Per esempio a
seguito del concilio di Nicea viene introdotto un nuovo concetto di
cittadinanza. La cittadinanza secondo il modello romano era da intendersi come origo
e dunque frutto di una caratteristica esteriore. La cittadinanza di matrice
cristiana era, invece, determinata da
una serie di elementi interiori: la comune fede nelle rivelazione descritta nel
credo. Viene, quindi, introdotto il concetto di identità
e,
di conseguenza, far parte della Chiesa diviene fondamentale anche per la
convivenza laica. Dal momento che il concetto stesso di popolo cambia in
maniera radicale ed il vescovo ha un forte potere di includere ed escludere
dalla comunità.
Sul piano giuridico di primaria
importanza è
il
fatto che il Papa inizi a divulgare alcune direttive attraverso le quali
risolve delle controversie sottopostegli dai singoli vescovi chiamati a
giudicare. Tale meccanismo di risoluzione casistica si realizzava tramite l’invio
delle Litterae decretales o Decreta (termine che deriva dalla
legislazione imperiale) contenenti la risoluzione pratica della fattispecie in
esame e i principi generali a suo fondamento. Come già
accaduto
in àmbito
laico, tali lettere iniziano ad essere conservate e successivamente raccolte
assieme ad altre tipologie di testi normativi come i canoni (deliberazioni dei
Concili). Queste prime compilazioni sono fondamentali per la diffusione della
normativa vigente e dunque già nel IV e poi ancor di più
nel
V secolo si assiste alla nascita dei primi “codici”
(nel
senso di raccolte di diritto della Chiesa). L’evoluzione
dei rapporti tra diritto laico ed ecclesiastico ha inizio con la nascita di
queste raccolte normative le quali aggiungono elementi ulteriori al già
complesso
rapporto tra Chiesa ed Impero. A tal proposito importante è
il
principio gelasiano enunciato da papa Gelasio (492-496) che, in una delle
lettere scritte all’imperatore, afferma come il mondo
sarebbe retto da due distinte dignità:
una è
l’auctoritas
(da
intendersi come potere di creare) dei pontefici e l’altra
è
la
potestas (un potere creato) dell’imperatore.
In tale dualismo traspare già una certa gradazione delle due dignità
e
si evince una visione teologica del potere e dell’ordinamento
pubblico.
Un altro fondamentale punto di rottura
con l’antichità
è
rappresentato
dalla nascita dei regni romano-barbarici frutto delle cc.dd. “invasioni
barbariche”.
I barbari appartenevano a popoli prevalentemente nomadi e guerrieri. I primi
rapporti tra questi barbari e la cultura romana si verifica a seguito dell’arruolamento
dei barbari nell’esercito romano in quanto milites
foederati (da foedus che significa patto). La situazione di
forte crisi dell’impero impediva, però,
spesso all’Impero
di onorare i patti e questo comportava un certo malcontento tra le popolazioni
barbare. Per tale ragione dopo aver a lungo militato sotto le bandiere romane
alcuni di questi popoli iniziarono a rivolgersi contro lo stesso impero (v. 410
sacco di Roma) ed a fondare a loro volta, dei regni.
La convivenza di queste due culture ha
prodotto risultati rilevanti anche sul piano giuridico in senso stretto. Dal
punto di vista legislativo, infatti, i Regna sono caratterizzati dalla
contemporanea vigenza di una doppia legislazione. Nel regno Visigoto erano,
difatti, in vigore due apparati normativi: la Lex Romana Wisigothorum (LRW)
e la Lex Wisigothorum (LW). La prima conteneva un’antologia di leges (Codice Teodosiano,
Novellae, Codice Gregoriano) e di iura (Istituzioni di Gaio, Pauli
Sententiae,
Responsa di Papiniano), mentre la LW conteneva una serie di disposizioni
promulgate dai sovrani visigoti finalizzate, principalmente, alla risoluzione
di controversie riguardanti soggetti di diverse etnie.
La storiografia giuridica per dare una
spiegazione a questa doppia legislazione ha fatto ricorso al principio di
personalità del
diritto secondo cui l’appartenenza etnica determinerebbe la
scelta del diritto da applicare. Pertanto nel caso in cui le parti fossero
appartenute ad etnie differenti (visigota e romana in questo caso) si sarebbe
applicato il diritto della parte debole del negozio.
Questa interpretazione è
figlia
dell’ideologia
ottocentesca la quale esaltava le antiche consuetudini germaniche contenute,
secondo tale lettura, nella LW come testimonianza di un diritto germanico
comune, contrapposto a quello romano.
Tale lettura è,
però,
smentita se si tiene conto del contenuto delle due fonti dal momento che la LW
non contiene le antiche consuetudini dei popoli germanici ma al contrario
contiene norme speciali mentre la LRW norme aventi di carattere di principi
generali essenziali per la regolazione delle fattispecie non regolate. Per tale
ragione il rapporto tra le due legislazioni non non può
che
essere di genere-a-specie
e, dunque, il quadro normativo di
riferimento resta quello romano.
A cura di Marta Cerrito
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