giovedì 5 ottobre 2017

Riassunto della lezione del 4 ottobre

Il diritto romano classico, da sempre protagonista della cultura giuridica occidentale, la quale si è sempre posta nei confronti di esso in rapporto di nostalgia e identificazione, subisce una frattura o, per meglio dire, un’evoluzione progressiva che prende origine in età dioclezianea e si svilupperà durante l’impero di Costantino
Con l’evoluzione del sistema costituzionale romano improntato all’accentramento dei poteri, gli interventi legislativi di Diocleziano e Costantino portarono, infatti, ad un allontanamento da alcuni principi della Roma classica.
Il diritto dell’età imperiale è caratterizzato, negli ultimi secoli, da una forte centralizzazione di poteri: la molteplicità e il pluralismo di poteri e della loro allocazione che Roma aveva da sempre conosciuto fin dai tempi della Repubblica subiscono una reductio ad unum nella figura dell’imperatore, “legibus solutus”.
1. Il carattere più evidente della trasformazione è tale superiorità dell’imperatore alla legge.
2. Una seconda caratteristica di tale epoca che interessa più da vicino lo storico del diritto consiste nel progressivo deperimento delle fonti materiali di conservazione del diritto romano classico: dall’uso dei papiri si passa ad altri tipi di supporto. Nascono i primi “codici”: insieme di fogli, generalmente di pergamena, cuciti insieme sul dorso.
Tale mutamento di supporto testuale condiziona il rapporto del giurista con il testo. La nuova produzione giuridico-letteraria è caratterizzata, infatti, da un approccio selettivo – e non più “consecutivo” come accadeva con il papiro- all’opera. L’autore può ora selezionare testi o parti di testo e raccoglierli in un nuovo codice in vista di un precipuo scopo che si è prefissato.
I mutamenti finora descritti sono ben evidenti nelle prime due raccolte – sebbene non ufficiali- di costituzioni imperiali: i cd codici Gregoriano ed Ermogeniano. La netta prevalenza delle leges sugli iura da essi testimoniata, segna la trasformazione di mentalità determinata dal nuovo assetto “costituzionale”.
Già in età dioclezianea, tuttavia, si hanno le prime manifestazioni di crisi. Molteplici ne furono le cause. Da un lato imperversava una crisi di natura economica, determinata dalla fine delle espansioni territoriali dell’impero e dal conseguente arresto della crescita economica, da sempre parallela alla crescita dell’impero il quale traeva le proprie “fonti di reddito” dal continuo rifornimento, nelle terre conquistate, di nuova manodopera servile e dalla sottoposizione a tributo dei nuovi territori ad esso annessi. A ciò si aggiunga la forte incertezza nel passaggio da un imperatore all’altro che sottoponeva periodicamente l’impero a violente lotte intestine.
Diocleziano intervenne con riforme radicali, che tuttavia si rivelarono, tutto sommato, fallimentari:
1) Tetrarchia: l’impero dovrebbe diventare un’istituzione astratta capace di rimanere sempre in vita rinnovandosi da sola;
2) Nuovo sistema fiscale: improntato all’efficienza (iuga e capita) e che, tuttavia, non prende in considerazione il “deficit di bilancio”, imponendo una tassazione determinata dalle esigenze annuali della res publica e non dalla produttività dei cespiti.
Tale condizione determinerà una grossa trasformazione, sociale prima ancora che giuridica. Il bisogno di garantire la costanza di reddito porterà molti contadini a legarsi, mediante la cessione delle proprie terre, a dei “potentes”, configurando una prima forma di rapporto “prefeudale”.
Un secondo mutamento proviene dalla tendenza delle costituzioni imperiali a collegare i cittadini alla loro funzione economica, per garantire la sopravvivenza del tessuto economico delle città, da un lato, ed evitare lo spopolamento delle campagne, dall’altro. Si rafforzano, così, le corporazioni di mestiere, i collegia, e si crea il legame del contadino alla propria terra, limitandone di fatto la libertà.
Dal punto di vista del diritto privato tutte questi mutamenti danno origine ad uno status intermedio, diverso dai “liberi” e dagli “schiavi” e sconosciuto al diritto romano classico.
3) Persecuzioni dei cristiani: difesa della tradizione di fare sacrifici all’imperatore, rivolta, altresì all’introito, nelle casse statali dei beni raccolti attorno agli edifici di culto, utilizzati dalle comunità cristiane a fini di beneficienza nei confronti dei più bisognosi – soprattutto a seguito della forte pressione fiscale determinata dalla nuova politica economica. Tale confisca fu possibile mediante l’applicazione, nei processi ai cristiani, della procedura speciale per lesa maestà, caratterizzata dalla tortura diretta alla confessione o alla denuncia degli altri “partecipanti al complotto contro l’imperatore”.
La situazione subisce un decisivo cambio di rotta con l’avvento di Costantino – 312, battaglia di Ponte Milvio, sconfitta di Massenzio- e la sua nuova politica, favorevole alla religione monoteista cristiana, che meglio riflette la sua concezione dell’imperatore e del potere: unico, come uno e solo è il Dio che gli ha conferito tutti i poteri.
La vera novità del programma costantiniano non consiste, tuttavia, nella proclamazione di un unico potere, sul piano giuridico, ma negli sforzi profusi dall’imperatore nell’unificazione della fede sotto un unico credo e, in definitiva, nella sagace intuizione per cui non è il potere politico a tenere insieme la compagine sociale ma la fede e la religione. La teologia comincia diventare il fondamento del sistema costituzionale imperiale.
L’assetto derivato dall’attuazione del programma di Costantino caratterizzerà per molti secoli l’Europa e la società cristiane.
Nel 313, con l’Editto di Milano, che consentì ai “conventicula cristianorum” di praticare il proprio culto, viene disposta la restituzione dei beni che sotto Diocleziano erano stati oggetto di confisca, non alle singole persone ma alle comunità cristiane. Le varie ecclesiae diventano, mano a mano, nuclei svolgenti una funzione economico sociale parallela alle istituzioni laiche.
Con una costituzione imperiale del 321, inoltre, le comunità cristiane divengono capaci di ricevere donazioni, eredità e legati. Il conferimento alle chiese di beni ereditari, inoltre, diviene privo di formalità: gli eredi non possono impugnare questo tipo di testamenti per motivi formali. Tutto ciò determina un ampio processo di spostamento della ricchezza dalle famiglie agli enti ecclesiastici.
Sebbene non definite “persone” giuridiche, la capacità delle ecclesiae di essere titolari di beni le rende, di fatto, nuovi soggetti di diritto privato.
Un’altra novità introdotta da Costantino fu l’episcopalis audientia, una forma di risoluzione delle controversie extragiuridica ma riconosciuta dall’impero. Essa non seguiva le regole procedurali e sostanziali del diritto statale, ma quelle del potere carismatico che rappresenta la particolare attitudine al governo delle comunità conferita direttamente da Dio e che troverà la propria più ampia estrinsecazione nella vita monacale. Diversamente dall’arbitrato classico, tuttavia, questa è una forma di arbitrato obbligatorio che si attiva non appena una delle due parti in causa decide di adire l’autorità ecclesiastica invece che quella statale. Le sentenze sono, inoltre, inalienabili.
L’ultimo atto che qualifica la politica costantiniana e che meglio descrive i fini di unificazione religiosa, sociale e, di riflesso, politica è la convocazione, nel 325 del concilio di Nicea, per la risoluzione del problema “cristologico” della natura di Cristo.
Gli esiti del concilio furono tuttavia parzialmente differenti: la natura divina di Cristo produsse, sul piano costituzionale, un dualismo tra potere laico e potere sacerdotale, altra fondamentale caratteristica dell’Europa occidentale.
Il progressivo consolidamento del potere sacerdotale e l’ascesa del potere preminente del vescovo di Roma determineranno, infatti, un nuovo assetto dell’impero caratterizzato dalla compresenza di due poteri.
Tale rapporto è ben percepibile nell’episodio del 380 della strage di Tessalonica, avente come protagonisti Teodosio I imperatore e S. Ambrogio vescovo di Milano. In occasione del pentimento dell’imperatore, verrà così esplicitato per la prima volta il principio secondo cui la chiesa si trova nell’impero e, in quanto istituzione statale, ne segue le regole, ma l’imperatore, in quanto fedele deve seguire le regole spirituali.

A cura di Chiara Casuccio

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