Nel panorama politico europeo del XII secolo assistiamo a due grandi
modelli di assetti istituzionali:
- Da un lato le nuove compagini politiche nate dalle conquiste – Inghilterra,
Penisola Iberica e Sicilia – in cui si assiste ad una forte tendenza alla gerarchizzazione
del potere, concentrato nelle mani del sovrano ed esercitato da un’aristocrazia
saldamente dipendente dal re. La forte presenza del sovrano si riscontra in
molti aspetti, a titolo di esempio si possono ricordare le due principali
espressioni della sovranità: sia l’esercizio del potere giurisdizionale, sia il
potere di tassazione, seppur di fatto amministrati dalla grande nobiltà
terriera – a cui il sovrano aveva concesso le terre che egli aveva conquistato
– rimangono collegati inscindibilmente alla corona.
- Dall’altro lato ci sono le aree formalmente soggette all’impero. In esse
i poteri locali, formalmente ancora rispondenti all’imperatore, che ne era
stato l’antico concedente, tendono sempre più a presentarsi come autonomi.
Questo avvenne nei contesti rurali in cui l’antico istituto del feudo si era
evoluto fino a configurarsi come una vera e propria Signoria, caratterizzata dalla stabilità pressoché totale, tanto
più dal momento in cui i poteri ed i diritti concessi con l’investitura erano
diventati trasmissibili agli eredi; ed avvenne anche nei contesti cittadini, ove
il signore trovò il proprio corrispettivo nel Comune, una sorta di “signore collettivo” in cui chi otteneva la
cittadinanza, mediante giuramento, otteneva altresì la protezione del comune in
cambio del proprio assoggettamento alla giurisdizione di questo “soggetto
astratto”. Le città comunali conobbero presto una ricchezza senza precedenti
fondata su di un’economia artigianale e commerciale che in poco tempo le portò
ad accumulare ingenti somme di denaro e beni pregiatissimi da scambiare.
Spontaneamente, l’Europa assistette ad uno sviluppo economico sorprendente.
Questa prosperità spinse l’imperatore Federico I di Svevia detto Barbarossa
a voler riaffermare la propria titolarità nei confronti delle città italiane.
Lo scontro fu fisico e teorico al tempo stesso: i comuni, uniti contro le
pretese imperiali nella Lega Lombarda
sostenevano la legittimità giuridica dei loro poteri. Tale legittimità sarebbe
stata il frutto di un’inerzia reiterata nell’esercizio del potere da parte del
sovrano che avrebbe tacitamente autorizzato l’opposto esercizio indisturbato
dello stesso potere da parte dei comuni. In altre parole, i poteri comunali
traevano la propria legittimità dalla consuetudine
in cui il trascorrere del tempo ratifica un determinato comportamento ripetuto
nel tempo. Lo scontro si concluse con la battaglia di Legnano del 1176 in cui i
comuni sconfissero le truppe imperiali; all’esito di tale conflitto Federico
Barbarossa si vide costretto ad emanare una costituzione, la pace di Costanza del 1183, in cui
riconobbe la legittimità delle consuetudini comunali.
In questo quadro politico nuovo appaiono allora maggiormente comprensibili
quelle richiamate istanze cittadine di nuovi principi di diritto che avrebbero
dovuto regolare una compagine di rapporti giuridici e commerciali di gran lunga
più raffinati a quelli dell’epoca immediatamente precedente.
È in questo contesto cittadino, e precisamente nella Modena del XII secolo,
che si inserisce la figura di un giurista, Pillio
da Medicina, allievo di Piacentino.
Egli, oltre a completare la Summa ai Tres Libri cominciata dal suo
predecessore, improntò il proprio insegnamento su di un nuovo metodo che si
rivelò piuttosto originale rispetto alla tradizione bolognese. Le principali
novità introdotte da Pillio si possono sintetizzare così:
1. Un nuovo modo di concepire lo
studio del diritto: l’essenzialità di apprendere in maniera analitica le norme
del codice viene meno. Ciò che invece aveva primaria importanza secondo Pillio
era l’apprendimento di determinati meccanismi logici di utilizzo delle norme,
che avrebbero aiutato il giurista in ogni disputa. Egli, nell’opera Libellus Disputatorius, il cui scopo fu
quello di abbreviare il metodo di studio, individuò due grandi “contenitori di
meccanismi logici”: la fictio e la praesumptio.
2. La seconda novità introdotta di Pillio è rappresentata dalla
standardizzazione di un metodo che già era praticato almeno dai tempi di
Bulgaro. Tale metodo, molto vicino alla risoluzione del caso concreto, prendeva
la cd quaestio quale modello
didattico essenziale. Le quaestiones sono forma letteraria che
entrò in uso a partire dalla metà del secolo XII. Esse consistevano in dispute
condotte intorno a casi giuridici controversi. Sebbene nato a Bologna
probabilmente nell’età della scuola di Bulgaro, il genere incontrò grandi
fortune soprattutto in ambiente extra bolognese, lungo le linee di una
diffusione che toccò la Francia settentrionale insieme con la Provenza, e
l’Inghilterra. Le dispute, di solito, avvenivano attorno a casi presi dalla realtà e
riadattati dal maestro al fine di far esercitare gli studenti. Questi
descrivevano la fattispecie allegando tutte le norme che avrebbero potuto
sostenere una determinata tesi, pro
e tutte le norme che avrebbero invece avvalorato la tesi contraria, contra. Il maestro, poi, avrebbe dato
la solutio.
3. Il merito di Pillio fu, inoltre, l’assunzione ad oggetto delle proprie
lezioni di una compilazione, non solo esulante dal Corpus Juris Civilis, ma
soprattutto non avente carattere legislativo: i Libri Feudorum, opera del
giudice milanese Orberto dell’Orto. Tale raccolta si divide in due parti; la
prima si occupa della descrizione di tutte le consuetudini feudali milanesi, la
seconda, invece, è una raccolta di tutte le costituzioni che trattano del
feudo. La scienza giuridica giunge così a ribaltare il rapporto con il testo
stabilito al tempo di Irnerio, quando la scuola aveva tratto la propria fortuna
dall’autorevolezza del testo oggetto di studi. In un ribaltamento di
prospettiva, Pillio conferì autorevolezza, e addura dignità legislativa, ad un
testo che ne era privo proprio perché lo
rese oggetto di approfondimento scolastico. Una volta promosso il trattato
sulle consuetudini feudali di Oberto alla dignità di testo normativo, dapprima
Pillio, poi moltissimi altri giuristi composero su di esso glossae e summae.
Nel quadro di questa attività Pillio enunciò un concetto fondamentale,
destinato ad avere grande successo, soprattutto sul piano del diritto pubblico.
Egli, infatti, razionalizzò il diritto feudale intendendolo quale diritto reale
sulla cosa. Tale concezione si basava, però, su di un’inesattezza linguistica
dell’autore del Libri il quale, nel descrivere le tutele esperibili contro
colui il quale aveva spogliato qualcuno di una cosa che questi aveva ricevuto
in beneficio, parlò di rei vindicatio,
azione attribuita dal diritto romano al solo dominus ex iure Quiritium. Poiché la cosa investita in beneficio non poteva
certo configurarsi come proprietà piena del concessionario, Pillio evocò i
passi del diritto giustinianeo che prevedevano una tutela reale su cose in
forza di un titolo meno pieno della proprietà. Riferendosi alla tutela del bene
detenuto in enfiteusi o in superficie, egli propose che la “vindicatio”
menzionata nel testo fosse un rimedio dato a chi, pur meritevole di una tutela,
non ne avrebbe avuta una se si fosse tenuto allo stretto diritto quiritario. Il
diritto romano concedeva a questi soggetti una azione utile, esemplata su quella diretta
attribuita soltanto al titolare di un diritto strettamente definito.
A questa duplicità di tutele processuali egli fece corrispondere una
duplicità di diritti soggettivi, pervenendo a uno sdoppiamento della proprietà:
il dominium directum era la proprietà
piuttosto formale restata in capo al concedente (spesso un soggetto di natura
pubblica o ecclesiastica), mentre il dominium
utile era la proprietà concreta attribuita al concessionario che, a patto
di riconoscere il dominio eminente del titolare del dominio diretto, poteva
disporre pienamente della cosa concessa.
La distinzione di Pillio ebbe un successo straordinario, continuando ad
essere evocata dai giuristi per molti secoli, fino alla Rivoluzione Francese e
oltre.
Essa però rispecchiava una situazione contingente della città di Modena,
dove Pillio insegnava e riceveva compensi dal Comune. Nel 1182, infatti,
proprio negli anni in cui Pillio elaborò la famosa distinzione, il Comune emanò
una norma in cui limitava fortemente il diritto dei titolari dei terreni della
città, mentre ampliava assai la disponibilità dei concessionari. La dottrina
astratta di Pillio, dunque, esprimeva in termini generali le esigenze che
trovarono spazio al livello particolare nella legislazione locale.
A cura di Chiara Casuccio
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