mercoledì 16 novembre 2016

Lezione del 15 novembre 2016

Nel panorama politico europeo del XII secolo assistiamo a due grandi modelli di assetti istituzionali:
- Da un lato le nuove compagini politiche nate dalle conquiste – Inghilterra, Penisola Iberica e Sicilia – in cui si assiste ad una forte tendenza alla gerarchizzazione del potere, concentrato nelle mani del sovrano ed esercitato da un’aristocrazia saldamente dipendente dal re. La forte presenza del sovrano si riscontra in molti aspetti, a titolo di esempio si possono ricordare le due principali espressioni della sovranità: sia l’esercizio del potere giurisdizionale, sia il potere di tassazione, seppur di fatto amministrati dalla grande nobiltà terriera – a cui il sovrano aveva concesso le terre che egli aveva conquistato – rimangono collegati inscindibilmente alla corona.
- Dall’altro lato ci sono le aree formalmente soggette all’impero. In esse i poteri locali, formalmente ancora rispondenti all’imperatore, che ne era stato l’antico concedente, tendono sempre più a presentarsi come autonomi. Questo avvenne nei contesti rurali in cui l’antico istituto del feudo si era evoluto fino a configurarsi come una vera e propria Signoria, caratterizzata dalla stabilità pressoché totale, tanto più dal momento in cui i poteri ed i diritti concessi con l’investitura erano diventati trasmissibili agli eredi; ed avvenne anche nei contesti cittadini, ove il signore trovò il proprio corrispettivo nel Comune, una sorta di “signore collettivo” in cui chi otteneva la cittadinanza, mediante giuramento, otteneva altresì la protezione del comune in cambio del proprio assoggettamento alla giurisdizione di questo “soggetto astratto”. Le città comunali conobbero presto una ricchezza senza precedenti fondata su di un’economia artigianale e commerciale che in poco tempo le portò ad accumulare ingenti somme di denaro e beni pregiatissimi da scambiare. Spontaneamente, l’Europa assistette ad uno sviluppo economico sorprendente.
Questa prosperità spinse l’imperatore Federico I di Svevia detto Barbarossa a voler riaffermare la propria titolarità nei confronti delle città italiane. Lo scontro fu fisico e teorico al tempo stesso: i comuni, uniti contro le pretese imperiali nella Lega Lombarda sostenevano la legittimità giuridica dei loro poteri. Tale legittimità sarebbe stata il frutto di un’inerzia reiterata nell’esercizio del potere da parte del sovrano che avrebbe tacitamente autorizzato l’opposto esercizio indisturbato dello stesso potere da parte dei comuni. In altre parole, i poteri comunali traevano la propria legittimità dalla consuetudine in cui il trascorrere del tempo ratifica un determinato comportamento ripetuto nel tempo. Lo scontro si concluse con la battaglia di Legnano del 1176 in cui i comuni sconfissero le truppe imperiali; all’esito di tale conflitto Federico Barbarossa si vide costretto ad emanare una costituzione, la pace di Costanza del 1183, in cui riconobbe la legittimità delle consuetudini comunali.
In questo quadro politico nuovo appaiono allora maggiormente comprensibili quelle richiamate istanze cittadine di nuovi principi di diritto che avrebbero dovuto regolare una compagine di rapporti giuridici e commerciali di gran lunga più raffinati a quelli dell’epoca immediatamente precedente.
È in questo contesto cittadino, e precisamente nella Modena del XII secolo, che si inserisce la figura di un giurista, Pillio da Medicina, allievo di Piacentino.
Egli, oltre a completare la Summa ai Tres Libri cominciata dal suo predecessore, improntò il proprio insegnamento su di un nuovo metodo che si rivelò piuttosto originale rispetto alla tradizione bolognese. Le principali novità introdotte da Pillio si possono sintetizzare così:
1.  Un nuovo modo di concepire lo studio del diritto: l’essenzialità di apprendere in maniera analitica le norme del codice viene meno. Ciò che invece aveva primaria importanza secondo Pillio era l’apprendimento di determinati meccanismi logici di utilizzo delle norme, che avrebbero aiutato il giurista in ogni disputa. Egli, nell’opera Libellus Disputatorius, il cui scopo fu quello di abbreviare il metodo di studio, individuò due grandi “contenitori di meccanismi logici”: la fictio e la praesumptio.
2. La seconda novità introdotta di Pillio è rappresentata dalla standardizzazione di un metodo che già era praticato almeno dai tempi di Bulgaro. Tale metodo, molto vicino alla risoluzione del caso concreto, prendeva la cd quaestio quale modello didattico essenziale. Le quaestiones sono forma letteraria che entrò in uso a partire dalla metà del secolo XII. Esse consistevano in dispute condotte intorno a casi giuridici controversi. Sebbene nato a Bologna probabilmente nell’età della scuola di Bulgaro, il genere incontrò grandi fortune soprattutto in ambiente extra bolognese, lungo le linee di una diffusione che toccò la Francia settentrionale insieme con la Provenza, e l’Inghilterra. Le dispute, di solito, avvenivano attorno a casi presi dalla realtà e riadattati dal maestro al fine di far esercitare gli studenti. Questi descrivevano la fattispecie allegando tutte le norme che avrebbero potuto sostenere una determinata tesi, pro e tutte le norme che avrebbero invece avvalorato la tesi contraria, contra. Il maestro, poi, avrebbe dato la solutio.
3. Il merito di Pillio fu, inoltre, l’assunzione ad oggetto delle proprie lezioni di una compilazione, non solo esulante dal Corpus Juris Civilis, ma soprattutto non avente carattere legislativo: i Libri Feudorum, opera del giudice milanese Orberto dell’Orto. Tale raccolta si divide in due parti; la prima si occupa della descrizione di tutte le consuetudini feudali milanesi, la seconda, invece, è una raccolta di tutte le costituzioni che trattano del feudo. La scienza giuridica giunge così a ribaltare il rapporto con il testo stabilito al tempo di Irnerio, quando la scuola aveva tratto la propria fortuna dall’autorevolezza del testo oggetto di studi. In un ribaltamento di prospettiva, Pillio conferì autorevolezza, e addura dignità legislativa, ad un testo che ne era privo proprio perché lo rese oggetto di approfondimento scolastico. Una volta promosso il trattato sulle consuetudini feudali di Oberto alla dignità di testo normativo, dapprima Pillio, poi moltissimi altri giuristi composero su di esso glossae e summae.
Nel quadro di questa attività Pillio enunciò un concetto fondamentale, destinato ad avere grande successo, soprattutto sul piano del diritto pubblico. Egli, infatti, razionalizzò il diritto feudale intendendolo quale diritto reale sulla cosa. Tale concezione si basava, però, su di un’inesattezza linguistica dell’autore del Libri il quale, nel descrivere le tutele esperibili contro colui il quale aveva spogliato qualcuno di una cosa che questi aveva ricevuto in beneficio, parlò di rei vindicatio, azione attribuita dal diritto romano al solo dominus ex iure Quiritium. Poiché la cosa investita in beneficio non poteva certo configurarsi come proprietà piena del concessionario, Pillio evocò i passi del diritto giustinianeo che prevedevano una tutela reale su cose in forza di un titolo meno pieno della proprietà. Riferendosi alla tutela del bene detenuto in enfiteusi o in superficie, egli propose che la “vindicatio” menzionata nel testo fosse un rimedio dato a chi, pur meritevole di una tutela, non ne avrebbe avuta una se si fosse tenuto allo stretto diritto quiritario. Il diritto romano concedeva a questi soggetti una azione utile, esemplata su quella diretta attribuita soltanto al titolare di un diritto strettamente definito.
A questa duplicità di tutele processuali egli fece corrispondere una duplicità di diritti soggettivi, pervenendo a uno sdoppiamento della proprietà: il dominium directum era la proprietà piuttosto formale restata in capo al concedente (spesso un soggetto di natura pubblica o ecclesiastica), mentre il dominium utile era la proprietà concreta attribuita al concessionario che, a patto di riconoscere il dominio eminente del titolare del dominio diretto, poteva disporre pienamente della cosa concessa.
La distinzione di Pillio ebbe un successo straordinario, continuando ad essere evocata dai giuristi per molti secoli, fino alla Rivoluzione Francese e oltre.

Essa però rispecchiava una situazione contingente della città di Modena, dove Pillio insegnava e riceveva compensi dal Comune. Nel 1182, infatti, proprio negli anni in cui Pillio elaborò la famosa distinzione, il Comune emanò una norma in cui limitava fortemente il diritto dei titolari dei terreni della città, mentre ampliava assai la disponibilità dei concessionari. La dottrina astratta di Pillio, dunque, esprimeva in termini generali le esigenze che trovarono spazio al livello particolare nella legislazione locale.
A cura di Chiara Casuccio

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