I testi del Corpus Juris Civilis, nonostante siano investiti da una “patina
di cristianizzazione”, sono testi di autori pagani. In essi la visione del
mondo risulta essere molto diversa dalla mentalità cristiana fondata sulla
regolazione carismatica della società.
Già i primi glossatori traggono da questi testi un’immagine peculiare del
diritto. Lo vedono come un sistema di norme a cerchi concentrici:
-
Ius naturale: rappresenta
quel complesso di situazioni costituenti quella che, in generale, può essere definita
la mutevolezza del mondo, che sono portatrici di una giustizia naturale, in
attesa di essere resa esplicita dalle regole umane.
-
Ius gentium: è il diritto
delle genti, che rispecchia l’equilibrio che risiede nella natura
qualificandolo come questo o quell’istituto giuridico. Perciò istituisce
principi comuni a popoli che vivono in diversi regimi politici.
-
Ius civile: la civitas, che costituisce il regime
politico unitario da cui dipende il ius
civile, prevede un sistema di giustizia regolato dalle azioni, dalle
eccezioni e dalla procedura. Questo elemento qualifica ulteriormente gli
istituti, garantendo la tutela dei diritti.
La dialettica
del processo è, infatti, centrale in tutto il Digesto. Principio generale
ricorrente nel testo è quello per cui la rigidità dell’actio, la formula data a colui il quale avesse avuto la
necessità di tutelare una propria posizione giuridica, poteva essere attenuata
grazie ai rimedi, generalmente le exceptiones,
forniti dal pretore nel caso in cui la mera forma avesse creato una sostanziale
ingiustizia.
Sulla scorta di queste premesse, il vero
grande merito della scolastica medievale, improntata alla congiunzione delle
cause mediante la tecnica del confronto dialettico di norme, fu quello di
cercare di estrapolare i principi ordinatori dei vari istituti giuridici. In
ogni rapporto giuridico, infatti, sono sempre presenti due cause, l’una civile
e formale e l’altra naturale e sostanziale, rispondente ai principi di
giustizia naturale, ai principi cioè di aequitas.
La loro congiunzione produce gli istituti del Corpus. Ogni norma
dell’imperatore, nella visione della nuova scienza giuridica, doveva contenere
un’aequitas; compito del giurista
era, dunque, quello di capirla ed estrapolarla mediante la messa a confronto di
norme apparentemente discordanti.
Questo modo di concepire il diritto può
entrare in conflitto con la metodologia di regolazione carismatica fondata
sull’indiscutibile precetto religioso. Un chiaro esempio di una tale
discordanza lo possiamo ritrovare nella discussione circa la possibilità, per
la categoria privilegita dei minorenni, di recedere da un giuramento in cui
l’oggetto della prestazione giurata non sia equilibrato. Secondo la teoria di Bulgaro un simile giuramento può essere
disatteso senza commettere alcun sacrilegio in quanto la formalità ha
rafforzato un’obbligazione nulla, in quanto nullo ne era l’oggetto. Martino, invece, espone la teoria
opposta della vincolatività di un simile giuramento – che non a caso prende il
nome latino di sacramentum – in
quanto suggellato una volta per tutte dall’intervento divino. Protende, infine,
per quest’ultima tesi della vincolatività in ogni caso dei giuramenti anche lo
stesso imperatore Federico Barbarossa nella costituzione Sacramenta puberum.
A cura di Chiara Casuccio
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