Il ragionamento giuridico sui grandi temi, nel tardo Seicento, non fu di
appannaggio esclusivo dei giuristi: molti filosofi si occuparono, infatti, di
temi come i diritti fondamentali della persona o il rapporto tra diritto e
potere. Uno dei filosofi più importanti di questo periodo è l’inglese Thomas Hobbes che pubblicò nel 1651 l’opera il Levitano, la quale divenne il punto di riferimento di tutte le
teorie sul potere fino al 900. Il principio cardine della sua teoria del potere
è quello per cui, privandosi delle proprie libertà, i cittadini possono
conferire, con un patto sociale, un potere di tipo assoluto al sovrano in
quanto, in quel momento, egli non rappresenta la persona fisica con tutto il suo
bagaglio di passioni umane, ma una “persona giuridica” rappresentativa di tutto
il popolo. È solo il sovrano che può garantire ai sudditi la vera libertà: i
diritti dei singoli non sarebbero esercitabili se non fossero alienati ad una
persona che li tuteli al loro posto. Tale potere è dunque un rimedio
artificiale alla violenza della natura, relegata a mero presupposto rispetto
allo stato di diritto – homo homini lupus.
Questo principio venne poi applicato nell’arco di tutto il 700, il Secolo
dei Lumi, a tutti gli esperimenti di assolutismo illuminato. Nel tentativo di
descrivere questo secolo ricco di innovazioni, la nostra attenzione si
concentrerà su tre diversi profili:
1. Il rapporto tra diritto e
religione.
2. La prospettiva assolutistica
come strumento indispensabile delle riforme
3. La decisa scelta della cultura del 700 per un approccio propriamente scientifico, sia nei confronti della natura
e della tecnologia, sia nei confronti della società.
Fu, infatti, proprio durante il settecento che l’antico rapporto di
interdipendenza tra diritto e religione stabilito con Costantino venne troncato
definitivamente: vennero formulate le prime teorizzazioni di un diritto senza
Dio e la trascendenza del sistema che aveva orientato tutti gli ordinamenti
fino ad allora scomparve. L’esclusione della religione dalla storia giuridica
non fu solo ideologica. Moltissimi stati europei, a partire dal Portogallo,
infatti, espulsero dai propri territori i gesuiti, una compagnia considerata troppo
ingerente nelle idee politiche della classe dirigente.
La compagnia di Gesù è, inoltre,
degna di nota poiché realizzò nelle Americhe un esperimento sociale – possibile
poiché le colonie rappresentavano un territorio vergine dal diritto e dal
potere – in cui l’aspetto comunitario della società rimase al centro del vivere
civile, al contrario di quanto stava accadendo nel Vecchio Continente, in cui
al centro dello stato vi erano non più le comunità ma gli individui. Tale
esperimento destò molto interesse in grandi pensatori del tempo come Ludovico
Antonio Muratori.
La divaricazione tra il diritto e la religione, nel quadro di un ampio
fenomeno che è stato chiamato “disincantamento del mondo” (Gauchet) fu al
centro della forte presa di posizione di Voltaire,
stimolata dal fortissimo terremoto che devastò la città di Lisbona nel 1755.
L’allontanamento sempre più deciso della cultura dalla religione deve
essere necessariamente posto in stretta relazione con il nuovo approccio
scientifico di studio della realtà: la società, infatti, divenne oggetto di
studi di tipo matematico; si cominciò a pensare di poter spiegare qualsiasi
fenomeno, anche economico (v. A. Smith) o giuridico, nei rigidi termini della logica matematica.
Vari furono i tentativi, prima teorici e poi anche pratici, di semplificazione
dell’ordimento e la ricostruzione del diritto alla luce di una stringente
logica matematica. Il più famoso di questi tentativi teorici fu quello di Leibniz, giusnaturalista tedesco che
elaborò un metodo di apprendimento del diritto improntato alla concatenazione
dei concetti in base alle regole della logica.
L’elaborazione di queste logiche non rimase tuttavia sul mero piano
speculativo; essa è posta alla base delle riforme, soprattutto legislative,
attuate dai sovrani illuministi di epoca settecentesca. Questi si posero molto
spesso l’obiettivo di razionalizzare il diritto, non più consolidando vecchie
norme ma imponendone altre mediante la promulgazione di nuove leggi che
rappresentassero “formule”, come quelle matematiche, che il giudice avrebbe
dovuto applicare al singolo caso concreto senza più avere il potere di
interpretazione e, in altre parole, di determinazione dell’ordinamento. L’idea
che solo un’assolutezza del potere consentisse soluzioni veramente riformiste
rispetto alla tradizione fu posta alla base della grande stagione di innovazione
delle infrastrutture, giuridiche ed in generale di ogni aspetto del volto della
nazione, dalla Francia alla Prussia all’Austria. La grande innovazione
dell’epoca fu la razionalizzazione della principale infrastruttura giuridica:
il diritto privato. In epoca illuministica si assiste, infatti, alla cosiddetta
“corsa verso la codificazione”, in cui, ricorrendo allo strumento codicistico
si tentò di semplificare, razionalizzare e riadattare vecchi istituti giuridici
per poi imporli alla collettività promulgando il codice mediante la legge.
Il primo tentativo di codificazione di stampo illuminista venne effettuato
in Prussia, commissionato da Federico II il Grande e promulgato dal suo
successore Giuseppe II. Nonostante l’enorme sforzo di razionalizzazione e
semplificazione operato dai giuristi che lo compilarono, questo codiceincontrava
un limite rappresentato dalla società stessa che si proponeva di disciplinare:
la società di antico regime, infatti, era costituita da diverse categorie di
persone e di beni, con la conseguenza che la disciplina privatistica, per
quanto semplificata, si declinava necessariamente in modo differente per ognuna
di queste categorie. Questa è la grande differenza che distingue questo codice
da quello napoleonico, intervenuto quando la rivoluzione francese aveva già
trasformato la società di antico regime in società borghese.
In questo, il sistema inglese, con il suo conservatorismo, rappresentò
un’eccezione, innovandosi sì, ma mediante strumenti differenti che non determinarono
mai una cesura netta rispetto al passato.
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