Lezione 25.10.2017
Si è parlato dell’edictum de beneficiis
di Corrado II e della forte esigenza di stabilità da parte della società di
questo periodo. La parola stabilitas è, per l’appunto, una fondamentale
chiave di lettura di questo momento storico specialmente per quanto riguarda l’àmbito
giuridico.
Uno dei temi più importanti relativi a
questo periodo è quello legato alla ricerca di firmitas et stabilitas del
diritto e, soprattutto dei diritti che si cerca di ottenere per mezzo della
scrittura. La formazione di un atto scritto sorge proprio perché risponde a
questa esigenza ed è uno strumento idoneo a dimostrare un determinato diritto
in sede giudiziale per mezzo di un’ostensio chartae (si mostrava un
certo documento che testimonia un certo diritto) così da evitare la prova
ordalica. A tale fenomeno è collegata la nascita di un nuovo operatore del
diritto: il notaio. Il notaio è la prima figura professionale educata e formata
al diritto e con uno spiccato carattere pubblico dal momento che, a differenza
dei giudici, è manifestazione di un vero e proprio pensiero giuridico alla base
del suo operare (Witt sostiene che sia un’anticipazione della cultura giuridica
laica del basso medioevo).
Questa fenomeno pone un problema, molto
discusso dalla storiografia del ‘900: il documento scritto ha valore squisitamente probatorio o
anche costitutivo del diritto de quo. In quale momento il negozio si
perfeziona? Cortese risolve la questione affermando che probabilmente l’atto
scritto aveva valore meramente probatorio dal momento che la pubblicità poteva
ottenersi o tramite la celebrazione di un rito (tipo il Gairethinx) oppure per
mezzo della redazione di un atto scritto che garantiva una stabilità prolungata
nel tempo.
Il vero motivo per cui questo aspetto è interessante è che nel tempo
iniziano a comparire dei documenti che effettivamente forniscono dei diritti ai
soggetti che li posseggono a prescindere dal soggetto con cui il negozio è stato
concluso. Secondo il modello romanistico il titolo derivava sempre dall’obbligo, mentre in questo caso la
carta incorpora la titolarità dell’azione. Tale ragionamento portò la
storiografia tedesca ad affermare che questo modello origina dalle regole del
diritto germanico che consentivano tale incorporazione, dal momento che i
diritti germanici riconoscevano giuridicità dell’apparenza del diritto assai
più che alla titolarità vera e propria. Se l’interpretazione è scorretta, il
ragionamento si mostra, però, molto interessante. Infatti, per spiegare questo meccanismo si parla di investitura che è una parola tipicamente
medievale e fortemente connessa al diritto feudale. La parola vestitura è
quella che è parsa interpretare la forma tipica dei diritti reali negli anni
che precedono l’anno 1000 e sarebbe, secondo i germanisti, la traduzione latina
dell’istituto della Gewere: il modo tipicamente germanico di
appropriazione delle cose senza distinzione tra possesso e proprietà e tra beni
materiali ed incorporali. Non c’è alcuna testimonianza della parola Gewere
prima dell’VIII secolo mentre della parola vestitura abbiamo
testimonianze scritte. Anzi, leggendo i documenti ci si accorge che è il verbo vestire
(revestire a seguito di uno spoglio) ad apparire per primo nel mondo
visigoto. È curioso il fatto che i germanisti non abbiano pensato che il vestire
sia il contrario dello spogliare e che dunque la Gewere originasse
proprio da queste procedure che sono di matrice tipicamente ecclesiastica. Un
noto esempio dell’uso di tali termini si ha nel caso del divorzio dell’imperatore
Lotario dalla moglie Theutberga. Theutberga era stata ripudiata dall’imperatore
perché accusata di incesto. Perciò Lotario chiede al Papa il divorzio così da
poter sposare la sua concubina Waltraut con la quale aveva già dei figli. Il
Papa, però, interrompe il procedimento di divorzio a seguito della richiesta di
Theutberga che afferma di essere stata spogliata del suo status
di moglie prima di una sentenza che accertasse il crimine di cui era accusata e
per potersi adeguatamente difendere chiede di essere revestita
dei suoi diritti. In questo caso emerge chiaramente come la Gewere
non attenga solamente ai diritti reali ma ricopra un àmbito ben più ampio, che
comprende anche lo status coniugale.
Un ultimo tema riguardante le obbligazioni
ed i contratti: la convenientia. É una parola che ha suscitato molte riflessioni
a partire dagli studi sul tema di Francesco Calasso della metà del Novecento.
Una delle idee di Calasso era che l’evoluzione del contratto potesse essere
riassunta in una parabola giuridica che partiva con un estremo formalismo per
avvicinarsi al sostanzialismo del consenso. Dunque, in un primo momento la
validità dei contratti si basava esclusivamente sulla forma, successivamente
affiora l’importanza del consenso. Per Calasso, quindi, quando si legge la parola
convenientia nei documenti altomedievali è perché i notai capiscono che
ciò che ha valore è il convenire delle parti, ossia l’incontro dei
consensi. Cortese parla diffusamente di questo per smentire l’impostazione
calassiana: convenientia viene da convenire in senso fisico. Le
pari si recano dal notaio per esigenze, ancora una volta, formalistiche: ciò che
porta al trasferimento di un determinato diritto è la forma scritta ed è la
firma del notaio che dona firmitas et stabilitas al negozio.
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Ci si avvicina, così, alla fine dell’Alto
medioevo e l’XI secolo è un momento molto importante che si caratterizza per
una forte spinta di rinnovamento non solo per quanto riguarda l’Impero (con la
dinastia degli Ottoni si assiste ad un recupero della maestà di matrice
bizantina ed alla determinazione delle prerogative imperiali), ma soprattutto
la Chiesa.
A cura di Marta Cerrito
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