giovedì 26 ottobre 2017

Lezione del 25 ottobre 2017

Lezione 25.10.2017

Si è parlato dell’edictum de beneficiis di Corrado II e della forte esigenza di stabilità da parte della società di questo periodo. La parola stabilitas è, per l’appunto, una fondamentale chiave di lettura di questo momento storico specialmente per quanto riguarda l’àmbito giuridico.
Uno dei temi più importanti relativi a questo periodo è quello legato alla ricerca di firmitas et stabilitas del diritto e, soprattutto dei diritti che si cerca di ottenere per mezzo della scrittura. La formazione di un atto scritto sorge proprio perché risponde a questa esigenza ed è uno strumento idoneo a dimostrare un determinato diritto in sede giudiziale per mezzo di un’ostensio chartae (si mostrava un certo documento che testimonia un certo diritto) così da evitare la prova ordalica. A tale fenomeno è collegata la nascita di un nuovo operatore del diritto: il notaio. Il notaio è la prima figura professionale educata e formata al diritto e con uno spiccato carattere pubblico dal momento che, a differenza dei giudici, è manifestazione di un vero e proprio pensiero giuridico alla base del suo operare (Witt sostiene che sia un’anticipazione della cultura giuridica laica del basso medioevo).
Questa fenomeno pone un problema, molto discusso dalla storiografia del ‘900: il documento  scritto ha valore squisitamente probatorio o anche costitutivo del diritto de quo. In quale momento il negozio si perfeziona? Cortese risolve la questione affermando che probabilmente l’atto scritto aveva valore meramente probatorio dal momento che la pubblicità poteva ottenersi o tramite la celebrazione di un rito (tipo il Gairethinx) oppure per mezzo della redazione di un atto scritto che garantiva una stabilità prolungata nel tempo.
Il vero motivo per cui  questo aspetto è interessante è che nel tempo iniziano a comparire dei documenti che effettivamente forniscono dei diritti ai soggetti che li posseggono a prescindere dal soggetto con cui il negozio è stato concluso. Secondo il modello romanistico il titolo derivava  sempre dall’obbligo, mentre in questo caso la carta incorpora la titolarità dell’azione. Tale ragionamento portò la storiografia tedesca ad affermare che questo modello origina dalle regole del diritto germanico che consentivano tale incorporazione, dal momento che i diritti germanici riconoscevano giuridicità dell’apparenza del diritto assai più che alla titolarità vera e propria. Se l’interpretazione è scorretta, il ragionamento si mostra, però, molto interessante. Infatti, per spiegare questo meccanismo si parla di investitura che è una parola tipicamente medievale e fortemente connessa al diritto feudale. La parola vestitura è quella che è parsa interpretare la forma tipica dei diritti reali negli anni che precedono l’anno 1000 e sarebbe, secondo i germanisti, la traduzione latina dell’istituto della Gewere: il modo tipicamente germanico di appropriazione delle cose senza distinzione tra possesso e proprietà e tra beni materiali ed incorporali. Non c’è alcuna testimonianza della parola Gewere prima dell’VIII secolo mentre della parola vestitura abbiamo testimonianze scritte. Anzi, leggendo i documenti ci si accorge che è il verbo vestire (revestire a seguito di uno spoglio) ad apparire per primo nel mondo visigoto. È curioso il fatto che i germanisti non abbiano pensato che il vestire sia il contrario dello spogliare e che dunque la Gewere originasse proprio da queste procedure che sono di matrice tipicamente ecclesiastica. Un noto esempio dell’uso di tali termini si ha nel caso del divorzio dell’imperatore Lotario dalla moglie Theutberga. Theutberga era stata ripudiata dall’imperatore perché accusata di incesto. Perciò Lotario chiede al Papa il divorzio così da poter sposare la sua concubina Waltraut con la quale aveva già dei figli. Il Papa, però, interrompe il procedimento di divorzio a seguito della richiesta di Theutberga che afferma di essere stata spogliata del suo status di moglie prima di una sentenza che accertasse il crimine di cui era accusata e per potersi adeguatamente difendere chiede di essere revestita dei suoi diritti. In questo caso emerge chiaramente come la Gewere non attenga solamente ai diritti reali ma ricopra un àmbito ben più ampio, che comprende anche lo status coniugale.
Un ultimo tema riguardante le obbligazioni ed i contratti: la convenientia. É una parola che ha suscitato molte riflessioni a partire dagli studi sul tema di Francesco Calasso della metà del Novecento. Una delle idee di Calasso era che l’evoluzione del contratto potesse essere riassunta in una parabola giuridica che partiva con un estremo formalismo per avvicinarsi al sostanzialismo del consenso. Dunque, in un primo momento la validità dei contratti si basava esclusivamente sulla forma, successivamente affiora l’importanza del consenso. Per Calasso, quindi, quando si legge la parola convenientia nei documenti altomedievali è perché i notai capiscono che ciò che ha valore è il convenire delle parti, ossia l’incontro dei consensi. Cortese parla diffusamente di questo per smentire l’impostazione calassiana: convenientia viene da convenire in senso fisico. Le pari si recano dal notaio per esigenze, ancora una volta, formalistiche: ciò che porta al trasferimento di un determinato diritto è la forma scritta ed è la firma del notaio che dona firmitas et stabilitas al negozio.

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Ci si avvicina, così, alla fine dell’Alto medioevo e l’XI secolo è un momento molto importante che si caratterizza per una forte spinta di rinnovamento non solo per quanto riguarda l’Impero (con la dinastia degli Ottoni si assiste ad un recupero della maestà di matrice bizantina ed alla determinazione delle prerogative imperiali), ma soprattutto la Chiesa.
A cura di Marta Cerrito

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