L’ottocento è il secolo delle grandi
contrapposizioni. Esso è in primo luogo l’età del positivismo, una corrente di
pensiero caratterizzata da un approccio metodologico allo studio dei fenomeni
-scientifici, storici e finanche giuridici- incentrata sull’ analisi obiettiva
e “scientifica” della natura di essi. Anche nel diritto la corrente positivista
influenzò la scienza giuridica determinando una sorta di dipendenza della
costruzione astratta dal dato positivo, che nel diritto è la legge – nonostante
anche quest’ultima sia una creazione artificiale -.
D’altro canto l’ottocento è anche l’età del
romanticismo, del sentimento contrapposto alla rigida razionalità dell’età dei
lumi, dell’appartenenza alla nazione e delle tradizioni.
In campo giuridico questa tensione si
traduce nella contrapposizione tra dato positivo -leggi e codificazioni- e giuristi,
interpreti di un’identità nazionale giuridica. La scienza ottocentesca del
diritto conobbe due grandi correnti che influenzarono lo studio del diritto di
tutta l’Europa e che sono figure sintomatiche del diverso approccio allo studio
dei fenomeni giuridici la scienza
giuridica francese e quella tedesca.
Esse ebbero una grande influenza anche in Italia.
La scienza giuridica francese, nota come
Scuola dell’esegesi, risente della
centralità e della funzione affidate da Napoleone al proprio codice, strumento
per la sistemazione di tutto il diritto privato in modo chiaro e comprensibile
da tutta la nazione. In tale prospettiva, il piccolo codice dalla chiarezza
quasi “cartesiana”, espressione concreta dell’utopia illuminista di
sistemazione del diritto secondo schemi razionali, doveva essere da sé
sufficiente alla spiegazione del fenomeno giuridico, e lo spazio per
l’interpretazione del dato letterale pressoché nullo. Lo studio teorico del
diritto divenne, per volontà dell’imperatore stesso, un’esegesi del
codice: un commentario secco al testo, una nuda spiegazione del contenuto degli
articoli della norma, senza la possibilità per il giurista – così come per il
magistrato- di interpretarli sistematicamente; l’intervento interpretativo del
giurista, nella visione illuminista, era ridotto al minimo poiché la chiarezza
della legislazione non lascia spazi ad interpretazione. Napoleone voleva, infatti, che il suo codice fosse autosufficiente
e portò all’estremo il positivismo nato in ambito rivoluzionario, arrivando a
negare l’autorevolezza giuridica dei concetti di derivazione tradizionale o
culturale non fissati dalla legge.
Il modello dell’insegnamento ora illustrato si
sviluppò nella Scuola dell’esegesi
attraverso la tecnica del commento, fino a distaccarsi dal positivismo “puro”
introducendo uno spazio, seppur delimitato nei suoi confini, per
l’interpretazione del giurista e per la storicizzazione del dato normativo.
Gli esegeti della generazione post-restaurazione tentarono, infatti, di
ricostruire le radici storiche di ogni articolo del Codice per giustificarne la
vigenza, soprattutto alla luce della restaurazione e dell’antico regime. In
tale prospettiva il codice rimaneva vigente, nonostante avesse tratto la
propria emanazione da soggetti “rivoluzionari”, poiché incarnava la tradizione
della società di antico regime, basata soprattutto sul diritto romano. Tra i
più importanti esponenti della scuola esegetica di seconda generazione
ricordiamo Demolombe. Altro esempio
del tentativo di collegare il diritto codificato alla tradizione di antico
regime è Merlin il quale, vissuto “a
cavallo” della rivoluzione e della restaurazione si dedicò alla redazione un’enciclopedia
del diritto che conobbe molteplici revisioni. Dapprima, in tempi
pre-rivoluzionari essa consistette in un dizionario del diritto dell’antico
regime, successivamente subì vari riadattamenti, mediante l’introduzione delle
novità subentrate con la rivoluzione e dell’approccio casistico. A seguito
della restaurazione, poi, Merlin revisionò tutte le voci della sua enciclopedia
alla luce di tutti gli articoli del codice, tentando di individuare il collegamento
necessario tra la razionalizzazione del codice e la tradizione precedente.
Detta scuola ebbe un grande impatto soprattutto nei
paesi che avevano optato per la codificazione.
Nell’ottocento anche la scienza giuridica italiana contribuì allo studio
del diritto ma rimase sempre legata in rapporto di continuo dialogo a quella
francese e tedesca. Tale rapporto si espresse soprattutto nelle grandi opere di
traduzione della letteratura straniera.
Fu, tuttavia, la Scuola tedesca a detenere il primato indiscusso nello
studio del diritto di matrice ottocentesca. Essa si sviluppò in un contesto
culturale di grande crescita in tutti i campi delle arti e del sapere.
La scelta di Savigny per la storia aveva
esplicitato, anche per il diritto, quell’attaccamento romantico al radicamento
delle tradizioni nel popolo. Quello della Scuola storica è, tuttavia, un romanticismo,
per così dire, “classico”, poiché il diritto scelto da Savigny quale base per
la definizione in chiave storica degli istituti moderni è il diritto romano,
ricostruito alla luce di una sua “germanizzazione”. A partire da tale ricostruzione
della storia del diritto romano quale frutto dei popoli germanici, perseguita
scientificamente da Savigny fin dalla pubblicazione della sua opera “Storia del
diritto romano nel medioevo” nel 1815, la Scuola storica pose al centro della
propria ricerca il problema dell’interpretazione del testo di Giustiniano nel
corso del medioevo, età simbolo del trionfo del germanesimo, passaggio prezioso
per tramandare il diritto romano alla società moderna. Tale scelta ebbe un
chiaro indirizzo politico: il perseguimento dell’unità culturale e giuridica
alla luce della constatazione della frammentazione politica che aveva suscitato
nell’élite romantica tedesca un bisogno di identificazione molto forte.
Tutto ciò rappresenta la fondamentale
premessa all’opera più matura di von Savigny: System des heutigen
römischen Rechts, letteralmente “il sistema del diritto romano attuale”, il
diritto romano, dopo una minuziosa ricerca delle fonti necessarie a
ricostruirne il volto originario, venne riproposto attualizzato come diritto
vigente. La nuova scienza romanistica riorganizzò i concetti del diritto romano estraendo quelli più importanti e
ponendoli alla base di un nuovo sistema di diritto civile. Il diritto tedesco
venne così affidato non alla codificazione ma alla scienza giuridica, intenta a
rielaborare i contenuti del diritto romano mediante la costruzione di un enorme
castello di concetti portanti -Begriffe- e di categorie generali del
diritto sotto le quali sussumere i concetti particolari.
Savigny fu un grande caposcuola, il suo
pensiero si diffuse rapidamente in tutta Europa grazie ai progressi della comunicazione
scientifica, per mezzo di una fitta rete epistolare e le nuove riviste
specializzate, e alla grande diffusione della lingua tedesca come la lingua
della cultura.
Tra i suoi tanti allievi è da ricordare Puchta, considerato il fondatore della cd Pandettistica, la branca
della scuola storica che, sulla spinta della sistematica di Donello, si occupò
di riorganizzare i concetti delle norme delle Pandette per inventarne di nuovi
e più generali, come quello del “negozio giuridico” – cfr Gluck, “usus modernus pandectarum”. Tale scuola
propose una rilettura del Digesto in modo riordinato,
in linea con la tradizione razionalistica e rappresenta la corrente
assolutamente dominante fino all’età contemporanea. Il più importante dei
pandettisti è Windscheid.
Tuttavia, questa tendenza alla
prevalenza del diritto romano è sfidata da un’altra corrente della stessa Scuola
storica tedesca: i germanisti.
Sia l’impianto borghese dei codici
moderni, sia l’elaborazione del diritto romano della pandettistica, portatore
dei principi della libera volontà dei soggetti e dell’accumulazione
capitalistica, avevano, infatti, avuto come risultato un forte individualismo
che, se da un lato permetteva il progresso economico e la parità di tutti i
soggetti dinanzi allo Stato, dal punto di vista economico-sostanziale creava
forti iniquità per tutti i soggetti che, seppur affrancati dai vincoli, non
avevano la concreta possibilità di avanzamento. La logica strettamente
individualista, dunque, aveva provocato effetti socialmente inaccettabili.
I germanisti, pertanto, cominciarono ad
entrare in conflitto la vecchia scienza del diritto, che aveva ad oggetto una
società del tutto astratta e diversa da quella reale, sostenendo che i principi
di diritto romano proposti da Savigny quali fondanti la moderna società altro
non erano se non una indebita ingerenza dello spirito “straniero”, su quello
germanico. Nel mettere, indi, in luce la prevalenza dello spirito del popolo
sul diritto romano, la nuova corrente si concentrò nello studio degli aspetti
non toccati dal Digesto come il diritto pubblico e il diritto commerciale,
sottolineandone la derivazione tedesca. Tra i germanisti di rilievo ricordiamo Beseler, Gierke. Romanista, ma attento alle posizioni della parallela scuola
dei germanisti fu Jhering, cui si
deve una tra le critiche più corrosive alla Pandettistica.
Anche in Italia, all’alba della fine
delle guerre di Indipendeza si cominciò a lavorare al codice unitario e ad una
unificazione giuridica. Per quanto attiene alla Costituzione si optò per
l’adattamento dello Statuto Albertino che da “rigido” passò, in via
consuetudinaria, a “flessibile”, potendo ora essere modificato anche tramite
legge ordinaria.
Per il codice il problema era
rappresentato dalla diversità di esperienze giuridiche degli stati italiani
preunitari problema. Inizialmente si lavorò ad un progetto di ampliamento del
cc piemontese del 1837, progetto che a seguito delle molte resistenze che
vedevano in esso un’imposizione forzata fallì lasciando spazio alla creazione
ex novo di un codice sul modello di quello napoleonico, che aveva fornito la
base di tutti i codici preunitari, ma introducendo, tuttavia, anche elementi
estranei che lo “italianizzanizzarono”. Esso venne influenzato, ad esempio, dal
codice austriaco che determinò un depotenziamento figura paterna nel diritto di
famiglia, e dal codice napoletano con le sue persone giuridiche, estranee al diritto
francese rivoluzionario e poi al Codice Napoleone. Questa grande officina portò
all’emanazione del codice del 65 non rimasto avulso da critiche- v. Sclopis.
A cura di Chiara Casuccio
9 commenti:
Professore innanzitutto grazie per la velocità che ha avuto nel pubblicare il riassunto della lezione, riferendoci al libro nello studio per l'esonero di domani ci fermiamo al paragrafo 7 del settimo capitolo? in quanto lei ieri ha detto che avrebbe concluso il capitolo lunedì. Grazie mille in anticipo
Il professore ha detto di fare sino a pag.356
Professore sono le 15.05 e la domanda ancora non è uscita
Prof ma la domanda??
professore sono le 15:08 e la domanda non è ancora uscita
Prof ?
Prof io alle 15 e 40 devo scappare al lavoro, ci faccia sapere qualcosa
Io alle 15.45 devo stare a lavoro non posso fare la domanda!
non è un problema del professore
Posta un commento