giovedì 14 dicembre 2017

Lezione del 13 dicembre 2017

L’ottocento è il secolo delle grandi contrapposizioni. Esso è in primo luogo l’età del positivismo, una corrente di pensiero caratterizzata da un approccio metodologico allo studio dei fenomeni -scientifici, storici e finanche giuridici- incentrata sull’ analisi obiettiva e “scientifica” della natura di essi. Anche nel diritto la corrente positivista influenzò la scienza giuridica determinando una sorta di dipendenza della costruzione astratta dal dato positivo, che nel diritto è la legge – nonostante anche quest’ultima sia una creazione artificiale -.
D’altro canto l’ottocento è anche l’età del romanticismo, del sentimento contrapposto alla rigida razionalità dell’età dei lumi, dell’appartenenza alla nazione e delle tradizioni.
In campo giuridico questa tensione si traduce nella contrapposizione tra dato positivo -leggi e codificazioni- e giuristi, interpreti di un’identità nazionale giuridica. La scienza ottocentesca del diritto conobbe due grandi correnti che influenzarono lo studio del diritto di tutta l’Europa e che sono figure sintomatiche del diverso approccio allo studio dei fenomeni giuridici la scienza giuridica francese e quella tedesca. Esse ebbero una grande influenza anche in Italia.
La scienza giuridica francese, nota come Scuola dell’esegesi, risente della centralità e della funzione affidate da Napoleone al proprio codice, strumento per la sistemazione di tutto il diritto privato in modo chiaro e comprensibile da tutta la nazione. In tale prospettiva, il piccolo codice dalla chiarezza quasi “cartesiana”, espressione concreta dell’utopia illuminista di sistemazione del diritto secondo schemi razionali, doveva essere da sé sufficiente alla spiegazione del fenomeno giuridico, e lo spazio per l’interpretazione del dato letterale pressoché nullo. Lo studio teorico del diritto divenne, per volontà dell’imperatore stesso, un’esegesi del codice: un commentario secco al testo, una nuda spiegazione del contenuto degli articoli della norma, senza la possibilità per il giurista – così come per il magistrato- di interpretarli sistematicamente; l’intervento interpretativo del giurista, nella visione illuminista, era ridotto al minimo poiché la chiarezza della legislazione non lascia spazi ad interpretazione. Napoleone voleva, infatti, che il suo codice fosse autosufficiente e portò all’estremo il positivismo nato in ambito rivoluzionario, arrivando a negare l’autorevolezza giuridica dei concetti di derivazione tradizionale o culturale non fissati dalla legge.
 Il modello dell’insegnamento ora illustrato si sviluppò nella Scuola dell’esegesi attraverso la tecnica del commento, fino a distaccarsi dal positivismo “puro” introducendo uno spazio, seppur delimitato nei suoi confini, per l’interpretazione del giurista e per la storicizzazione del dato normativo. Gli esegeti della generazione post-restaurazione tentarono, infatti, di ricostruire le radici storiche di ogni articolo del Codice per giustificarne la vigenza, soprattutto alla luce della restaurazione e dell’antico regime. In tale prospettiva il codice rimaneva vigente, nonostante avesse tratto la propria emanazione da soggetti “rivoluzionari”, poiché incarnava la tradizione della società di antico regime, basata soprattutto sul diritto romano. Tra i più importanti esponenti della scuola esegetica di seconda generazione ricordiamo Demolombe. Altro esempio del tentativo di collegare il diritto codificato alla tradizione di antico regime è Merlin il quale, vissuto “a cavallo” della rivoluzione e della restaurazione si dedicò alla redazione un’enciclopedia del diritto che conobbe molteplici revisioni. Dapprima, in tempi pre-rivoluzionari essa consistette in un dizionario del diritto dell’antico regime, successivamente subì vari riadattamenti, mediante l’introduzione delle novità subentrate con la rivoluzione e dell’approccio casistico. A seguito della restaurazione, poi, Merlin revisionò tutte le voci della sua enciclopedia alla luce di tutti gli articoli del codice, tentando di individuare il collegamento necessario tra la razionalizzazione del codice e la tradizione precedente.
Detta scuola ebbe un grande impatto soprattutto nei paesi che avevano optato per la codificazione.  Nell’ottocento anche la scienza giuridica italiana contribuì allo studio del diritto ma rimase sempre legata in rapporto di continuo dialogo a quella francese e tedesca. Tale rapporto si espresse soprattutto nelle grandi opere di traduzione della letteratura straniera.
Fu, tuttavia, la Scuola tedesca a detenere il primato indiscusso nello studio del diritto di matrice ottocentesca. Essa si sviluppò in un contesto culturale di grande crescita in tutti i campi delle arti e del sapere.
La scelta di Savigny per la storia aveva esplicitato, anche per il diritto, quell’attaccamento romantico al radicamento delle tradizioni nel popolo. Quello della Scuola storica è, tuttavia, un romanticismo, per così dire, “classico”, poiché il diritto scelto da Savigny quale base per la definizione in chiave storica degli istituti moderni è il diritto romano, ricostruito alla luce di una sua “germanizzazione”. A partire da tale ricostruzione della storia del diritto romano quale frutto dei popoli germanici, perseguita scientificamente da Savigny fin dalla pubblicazione della sua opera “Storia del diritto romano nel medioevo” nel 1815, la Scuola storica pose al centro della propria ricerca il problema dell’interpretazione del testo di Giustiniano nel corso del medioevo, età simbolo del trionfo del germanesimo, passaggio prezioso per tramandare il diritto romano alla società moderna. Tale scelta ebbe un chiaro indirizzo politico: il perseguimento dell’unità culturale e giuridica alla luce della constatazione della frammentazione politica che aveva suscitato nell’élite romantica tedesca un bisogno di identificazione molto forte.
Tutto ciò rappresenta la fondamentale premessa all’opera più matura di von Savigny: System des heutigen römischen Rechts, letteralmente “il sistema del diritto romano attuale”, il diritto romano, dopo una minuziosa ricerca delle fonti necessarie a ricostruirne il volto originario, venne riproposto attualizzato come diritto vigente. La nuova scienza romanistica riorganizzò i concetti del diritto romano estraendo quelli più importanti e ponendoli alla base di un nuovo sistema di diritto civile. Il diritto tedesco venne così affidato non alla codificazione ma alla scienza giuridica, intenta a rielaborare i contenuti del diritto romano mediante la costruzione di un enorme castello di concetti portanti -Begriffe- e di categorie generali del diritto sotto le quali sussumere i concetti particolari.
Savigny fu un grande caposcuola, il suo pensiero si diffuse rapidamente in tutta Europa grazie ai progressi della comunicazione scientifica, per mezzo di una fitta rete epistolare e le nuove riviste specializzate, e alla grande diffusione della lingua tedesca come la lingua della cultura.
Tra i suoi tanti allievi è da ricordare Puchta, considerato il fondatore della cd Pandettistica, la branca della scuola storica che, sulla spinta della sistematica di Donello, si occupò di riorganizzare i concetti delle norme delle Pandette per inventarne di nuovi e più generali, come quello del “negozio giuridico” – cfr Gluck, “usus modernus pandectarum”. Tale scuola propose una rilettura del Digesto in modo riordinato, in linea con la tradizione razionalistica e rappresenta la corrente assolutamente dominante fino all’età contemporanea. Il più importante dei pandettisti è Windscheid.
Tuttavia, questa tendenza alla prevalenza del diritto romano è sfidata da un’altra corrente della stessa Scuola storica tedesca: i germanisti.
Sia l’impianto borghese dei codici moderni, sia l’elaborazione del diritto romano della pandettistica, portatore dei principi della libera volontà dei soggetti e dell’accumulazione capitalistica, avevano, infatti, avuto come risultato un forte individualismo che, se da un lato permetteva il progresso economico e la parità di tutti i soggetti dinanzi allo Stato, dal punto di vista economico-sostanziale creava forti iniquità per tutti i soggetti che, seppur affrancati dai vincoli, non avevano la concreta possibilità di avanzamento. La logica strettamente individualista, dunque, aveva provocato effetti socialmente inaccettabili.
I germanisti, pertanto, cominciarono ad entrare in conflitto la vecchia scienza del diritto, che aveva ad oggetto una società del tutto astratta e diversa da quella reale, sostenendo che i principi di diritto romano proposti da Savigny quali fondanti la moderna società altro non erano se non una indebita ingerenza dello spirito “straniero”, su quello germanico. Nel mettere, indi, in luce la prevalenza dello spirito del popolo sul diritto romano, la nuova corrente si concentrò nello studio degli aspetti non toccati dal Digesto come il diritto pubblico e il diritto commerciale, sottolineandone la derivazione tedesca. Tra i germanisti di rilievo ricordiamo Beseler, Gierke. Romanista, ma attento alle posizioni della parallela scuola dei germanisti fu Jhering, cui si deve una tra le critiche più corrosive alla Pandettistica.
Anche in Italia, all’alba della fine delle guerre di Indipendeza si cominciò a lavorare al codice unitario e ad una unificazione giuridica. Per quanto attiene alla Costituzione si optò per l’adattamento dello Statuto Albertino che da “rigido” passò, in via consuetudinaria, a “flessibile”, potendo ora essere modificato anche tramite legge ordinaria.

Per il codice il problema era rappresentato dalla diversità di esperienze giuridiche degli stati italiani preunitari problema. Inizialmente si lavorò ad un progetto di ampliamento del cc piemontese del 1837, progetto che a seguito delle molte resistenze che vedevano in esso un’imposizione forzata fallì lasciando spazio alla creazione ex novo di un codice sul modello di quello napoleonico, che aveva fornito la base di tutti i codici preunitari, ma introducendo, tuttavia, anche elementi estranei che lo “italianizzanizzarono”. Esso venne influenzato, ad esempio, dal codice austriaco che determinò un depotenziamento figura paterna nel diritto di famiglia, e dal codice napoletano con le sue persone giuridiche, estranee al diritto francese rivoluzionario e poi al Codice Napoleone. Questa grande officina portò all’emanazione del codice del 65 non rimasto avulso da critiche- v. Sclopis.
A cura di Chiara Casuccio

9 commenti:

Anonimo ha detto...

Professore innanzitutto grazie per la velocità che ha avuto nel pubblicare il riassunto della lezione, riferendoci al libro nello studio per l'esonero di domani ci fermiamo al paragrafo 7 del settimo capitolo? in quanto lei ieri ha detto che avrebbe concluso il capitolo lunedì. Grazie mille in anticipo

Anonimo ha detto...

Il professore ha detto di fare sino a pag.356

Anonimo ha detto...

Professore sono le 15.05 e la domanda ancora non è uscita

Anonimo ha detto...

Prof ma la domanda??

Anonimo ha detto...

professore sono le 15:08 e la domanda non è ancora uscita

Anonimo ha detto...

Prof ?

Anonimo ha detto...

Prof io alle 15 e 40 devo scappare al lavoro, ci faccia sapere qualcosa

Anonimo ha detto...

Io alle 15.45 devo stare a lavoro non posso fare la domanda!

Anonimo ha detto...

non è un problema del professore