domenica 18 marzo 2007

Liutprando e i testimoni

Chiara ha rilevato una contraddizione nel libro:
"A pag 102 si afferma che Liutprando per meglio agganciare wadia e causa sottostante ricorra all'istituto romano della testimonianza; in seguito però a pag 106 si afferma che il re fa propria la procedura della prassi secondo la quale l'efficacia della testimonianza viene dimezzata per dar spazio ai giuramenti collettivi.Da ciò qualche storico ha addirittura dedotto che Liutprando non abbia affatto introdotto tale istituto che avrebbe visto la luce solo molti anni più tardi tra i longobardi"

Veramente non vedo contraddizione fra i due passaggi. In entrambi Cortese rileva in Liutprando una tendenza a seguire l'insegnamento della Chiesa, sia in materia di giuramenti collettivi sia in materia di accertamento della causa del negozio. L'uso del giuramento non per attestare la realtà dei fatti, ma per professare la propria fiducia in un soggetto accusato oppure provocato in giudizio, provocava il rischio dello spergiuro, e il pericolo dell'anima sia per il giudice sia per il legislatore che accettava questa pratica. Perciò, sia per i contratti wadiati sia per l'accertamento processuale, Liutprando proclama il proprio desiderio di intendere la testimonianza in senso "romano" (cioè ecclesiastico) di mezzo di accertamento della verità dei fatti. Ma la pratica longobarda era resistente di fronte a questi mutamenti. Liutprando stesso lo ammette, e i documenti lo confermano quando mostrano i giudici che ricorrono ancora alle vecchie procedure di giuramenti rituali o de credulitate.

1 commento:

Anonimo ha detto...

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