Vi sono alcune questioni di carattere “istituzionale”
fondamentali
per comprendere appieno la dialettica che intercorre tra lo studio bolognese e
le scuole minori. Bologna è, infatti, il primo centro di
insegnamento che assume le vesti di università
e
già
nella
seconda metà
del
XII secolo mostra di avere una struttura organizzativa fortemente consolidata.
Per esempio, la preminenza del sistema della lectura e di un
insegnamento basato sul sistema della glossa rende possibile il fiorire di
una straordinaria manifattura libraria esperta nella produzione del CJC
corredato dall’apparato
di glosse. L’importanza
di Bologna, dunque, non si limita solo al piano intellettuale ma invade anche
quello “industriale”
rendendo
il territorio bolognese ricco e fiorente. Inoltre, la struttura del corso di
laurea (della durata di dieci anni) era finalizzato anche all’attribuzione
di veri e propri gradi accademici (p.e. la laurea attribuiva in automatico licentia
docendi).
Tale fioritura della scientia juris
in ambiti squisitamente laici rappresenta una sorta di “effetto
non voluto”
della
riforma gregoriana la quale per mezzo della riscoperta del diritto romano e di
un suo uso strumentale intendeva tendeva ad una valorizzazione del clero
rispetto al mondo laico. In relatà si
assiste ad un allontanamento dalla tradizionale logica religiosa tramite la
ricerca delle risposte nell’autorevolezza del diritto.
In questo contesto storico-sociale
dove il giurista si trova al centro di un fenomeno di rinnovamento tanto
culturale quanto giuridico troviamo la figura di Pillio da Medicina un giurista
che può
essere
considerato la personalità più rappresentativa
del scienza del diritto di questo periodo. Laureatosi a Bologna, probabilmente
allievo di Piacentino, inizia la sua carriera di insegnamento a Bologna per
trasferirsi, però, dopo poco a Modena. Egli stesso
racconta di essere stato chiamato dalla città di
Modena affinché
insegnasse
nello studio locale. L’università
di
Bologna aveva nei confronti di tutti i suoi maestri una sorta di diritto di
esclusiva per i primi tre anni di docenza che impediva ai maestri di potersi
trasferire in altri centri ad insegnare. Nonostante questa clausola, la città
di
Modena, pur di avere presso di sé un
giurista del calibro Pillio lo esonera dall’insegnamento sino al compimento dei
tre anni di esclusiva.
In questi tre anni, dunque, Pillio si
dedica totalmente alla produzione scientifica scrivendo alcune importanti
opere. Innanzitutto il libellus disputatorius che nasce,
originariamente, solo per i pratici ma di cui in seguito Pillio pubblica nuova
edizione finalizzata all’insegnamento. La metodologia promossa
da Pillio renderebbe possibile accorciare la durata degli studi da dieci a soli
quattro anni. Per Pillio, infatti, è importante
la capacità
estrapolare
dai testi la definizione di una regola generale. Questo metodo nuovo prevede l’uso
dei cc.dd. Brocarda chiamati più propriamente
generalia. (vd. presunzione - finzioni).
La seconda opera è
una
raccolta di Quaestiones che si sostanziano nell’esposizione
da parte del maestro un caso pratico (reale o fittizio) utile per far
esercitare gli studenti, divisi in due gruppi, nel ragionamento tramite
argomentazioni a difesa o dell’attore o del convenuto. Tali
esercitazioni si concludevano con l’esposizione della solutio. Il
principio di insegnamento è il medesimo dei brocarda,
La terza opera è
un’opera
incompiuta ed è
una
summa ai tres libri del codice (libri X-XII) che trattano di diritto
pubblico e di diritto amministrativo e fiscale.
L’opera più
nota
ed importante di Pillio è la Lectura ai libri feudorum.
Questa lectura è importante perché
riesce
a dare autorità
normativa
ad un testo che normativo non era. Il nucleo principale dei libri feudorum
era composto da due lettere scritte da Oberto dell’Orto
(giudice a Milano) al figlio Anselmo che studiava a Bologna al fine di
spiegargli le consuetudini feudali vigenti. Oltre all’operetta
di Oberto, i libri feudorum contengono alcune costituzioni imperiali in
materia di feudo (p.e. l’edictum de beneficiis).
La novità
introdotta
da Pillio è
quella
di aver fatto una lectura ad un
testo non normativo che non solo ebbe un enorme successo tanto che qualche anno
dopo tale insegnamento fu accolto a Bologna, ma al punto che Accursio deciderà
di
includere nella sua edizione del CJC anche i libri feudorum corredatati
dalla glossa di Pillio.
La questione più
importante
trattata da Pillio in questa lectura attiene ai diritti reali sul
beneficio. In quest’ottica Pillio elabora una definizione
generale del rapporto che intercorre sia tra il signore e il beneficio concesso
sia tra vassallo e beneficio. Partendo da un passo delle lettere obertine nel
quale il giudice afferma che tra i diritti che il vassallo acquisisce sul
beneficio vi sarebbe anche l’esperibilità
della
vindicatio, Pillio afferma che se il vassallo allo può
agire
esperendo una rei vindicatio, allora vuol dire che il vassallo è
titolare
di un diritto che secondo il diritto romano legittima tale azione. Dal momento
che la rei vindicatio è
l’azione
che spetta al proprietario ciò significa che il vassallo è,
al pari del signore, titolare del dominio. Pillio, dunque, afferma che con la
concessione del beneficio si trasferisce anche il dominio ma solo il dominio
utile che è tutelato dall’actio
utilis (che spetta al concessionario), mentre al concedente
rimane il dominio diretto a cui spetta l’azione
diretta. Questa è
un’invenzione
tecnica di grande successo che, però, non può
essere
pienamente compresa da un punto di vista storico, se non collegata al contesto
modenese. Nel 1182 Modena promulga uno statuto con cui prevede una disciplina
che favorisce profondamente i concessionari a titolo di feudo, enfiteusi o
livello. Con queste norme, per esempio, viene statuito che nel caso in cui un
soggetto riceva un bene a titolo di feudo e questi rimanga senza eredi maschi
il beneficio (che in teoria sarebbe dovuto tornare al concedente) è
trasmissibile
anche dalle figlie femmine. Questo statuto determina una posizione del
concessionario equivalente a quella del proprietario non casualmente ma perché
Modena
è
costruita
interamente su terreni di proprietà del
vescovo il quale li aveva dati in concessione ai ricchi abitanti di Modena che,
tra le altre cose, erano gli stessi soggetti che tanto avevano voluto Pillio
nel loro studium e che pagavano
il suo stipendio. E’ chiaro, quindi, che la città
di
Modena aveva bisogno di un giurista come Pillio che tramite elaborate teorie
tutelasse, in pratica, gli interessi della società
cittadina.
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