giovedì 2 novembre 2017

Lezione del 31 ottobre - La nuova Europa gregoriana e il diritto romano

Lezione 31.10.2017.
Nel caso testimoniato dal Placito di Marturi, la vera grande svolta è rappresentata dall’applicazione pratica del diritto romano: una norma ulpianea sulla restitutio in integrum in caso di impossibilità di adire l’autorità giudicante. La straordinarietà di questa testimonianza risiede nel fatto che la disapplicazione, ad opera del giudice, del diritto longobardo-franco e l’applicazione della “più giusta” legge romana ha una forza tale da ribaltare i rapporti di forza e, dunque, l’esito della decisione. La regola in questione, tuttavia, non è un mero principio di giustizia teorico ma una vera e propria norma autentica e vigente.
Proprio nell’epoca della riforma gregoriana che aveva dato la spinta propulsiva alla trasformazione culturale e sociale che aveva imposto la necessità di ricerca di testi autorevoli ed autentici, anche in ambito laico si comincia a sentire l’esigenza di un innalzamento del livello della tecnicità del diritto.
È la stessa nuova mentalità di una mutata società a richiedere il rinnovamento delle tecniche di risoluzione delle controversie mediante la ricerca e lo studio di un diritto – quello romano- più raffinato e dotato di maggiore capacità astrazione e qualificazione della fattispecie, che possa essere in grado di ribaltare l’esito dei processi e a garantire la giustizia sostanziale nei procedimenti prima affidati alle soluzioni meramente processuali e contingenti del diritto longobardo.
Quella del II millennio è, d’altronde, una realtà profondamente trasformata. In primo luogo, nel giro di pochi decenni, muta profondamente il quadro politico di riferimento. Il XI sec. assiste, infatti, a tre grandi eventi di trasformazione, sintomo esteriore di un forte movimento ideologico per la legittimazione dell’uso della forte da parte della Chiesa.
a) il processo di riconquista della Sicilia conclusosi con la conquista di Palermo del 1072 e la costituzione del Regno normanno di Sicilia, sottratto ai mussulmani su impulso del pontefice che legittimò la sovranità normanna sull’isola proprio al fine di vederla riconquistata e cristianizzata ad opera di questo nuovo alleato politico. La conquista si estende poi a tutta l’Italia meridionale trasformando l’intero panorama con la fine della presenza bizantina in meridione.
b) la costituzione del Regno normanno d’Inghilterra nel 1066, culmine di un’ennesima campagna per la conquista dell’isola da parte degli eserciti francesi della Normandia. Anche in tal caso, la legittimazione della nuova sovranità viene invocata innanzi al papa.
c) Reconquista della Penisola Iberica, su impulso di papa Alessandro II che in una decretale del 1063, promette la remissione dei peccati a coloro che combatteranno per liberare la Spagna dalla occupazione araba. Tale fervore sfocerà nel 1095 nella indizione della prima crociata, conclusasi nel 1099 con la sanguinosa conquista di Gerusalemme.
Sono dunque queste le trasformazioni che impongono un ripensamento strutturale dell’intero sistema di diritto: in tale quadro, in Italia, comincia a perfezionarsi la tecnica del diritto: la scienza giuridica del nuovo millennio si presenta quale risposta alle comuni istanze di introduzione nel sistema di una razionalità nuova, per la disciplina di una società anch’essa rinnovata. La storia della ricomparsa del Digesto è, dunque, una storia di ricerca, prima che di riscoperta: la ricerca di una nuova applicazione delle norme rispondente ai principi della razionalità e della dialettica, portò alla ricerca ed alla riscoperta del diritto romano, depositario di quel complesso di istituti giuridici di gran lunga più raffinati del precedente “diritto della pratica”.
La prima scuola nata in Italia è, tuttavia, una scuola di “pratici del diritto”: secondo la teoria di Witt, la nascita della nuova scienza giuridica sarebbe avvenuta in Italia proprio perché in Italia si sarebbe conservata una cultura giuridica laica grazie alla permanenza della figura del notaio. Tale ceto avrebbe dunque preservato determinate strutture scolastiche che funsero da modello distinto da quello ecclesiastico.
Questa impostazione tecnica dello studio delle norme vigenti è alla base della scuola di diritto di Pavia composta da studiosi longobardisti. Essa si occupava, infatti, del diritto longobardo, integrato dai capitularia legibus addenda, vigenti nel Regnum Italiae. La più fortunata produzione di tale scuola è il cd Liber Papiensis: un elenco unitario delle singole norme longobarde e franche sistemate in ordine cronologico.  Il libro è corredato da un commento l’Expositio ad librum papiensem. Tale commento rappresenta un valido tentativo di approfondimento e studio del complesso legislativo in chiave scientifica, consistendo in un coordinamento tra le diverse disposizioni a seconda del tema trattato. Nell’Expositio si nota anche un certo uso e conoscenza del diritto romano in funzione integrativa, nel caso in cui la soluzione non si fosse potuta trovare nelle leggi vigenti.
Altro esempio di rinnovamento dello studio del diritto in chiave scientifica è testimoniato dalla Lombarda, una raccolta dello stesso materiale contenuto nel Liber Papiensis, sistemato tuttavia, in ordine sistematico. Tutto sommato le due opere scientifiche perseguono lo stesso obiettivo, mediante l’uso di tecniche differenti: la mobilizzazione delle norme attorno ad argomenti comuni. Anche nel caso della Lombarda l’uso del diritto romano avviene in funzione logico- giuridica.
Allo stesso tempo giova evidenziarsi un altro uso del dir romano emergente dalle testimonianze sulla lotta per le investiture: uso politico , nato per contrastare le pretese del partito gregoriano. Per sostenere l’antitetica posizione di supremazia, anche l’imperatore, alla stregua di quanto già fatto dai papi della riforma comincia a ricercare la giustificazione del proprio potere in una norma autentica e vigente: quella romana . Viene ad esempio richiamata la Lex regia de Imperio in quanto utile a rammentare l’idea di derivazione popolare, e dunque non divina, del potere.
Anche in ambito ecclesiastico si raffina l’uso e la ricerca del diritto romano: è tuttavia un uso “rapsodico” del diritto romano a seconda, ancora una volta, della convenienza del contenuto della norma, atteggiamento ancora pienamente inserito nella mentalità dell'alto Medioevo. Una prima testimonianza di tale uso del diritto romano in chiave strumentale è ben visibile nel racconto sull’uccisione di un servo ad opera di un tale, contenuto nell’operetta morale del teologo Radulfus Niger - composta attorno il 1180 sotto il nome di Moralia regum. Secondo quanto riportatoci dal teologo fu Pepo, personaggio dai contorni sfuggenti, a ribaltare le sorti della decisione dell’imperatore, invocando una norma del Digesto. Egli fu il primo che, secondo il teologo, per esigenze pratiche di rinnovazione del rito del processo fino a quel momento ingiusto in quanto irrazionale, utilizzò il Digesto per riportare il rito a razionalità. Radulfus esalta la figura di Pepo come iniziatore dello studio del diritto romano, riesumato allo scopo di "rinnovare il malvagio rito del giudizio". Si riferiva all'esigenza, sempre più sentita, di abbandonare le diverse forme di giudizio di Dio, e in particolare il duello, per adottare una procedura razionale e sentita come più giusta.
Un atteggiamento similare nei confronti del diritto romano lo ritroviamo, altresì nelle Exceptiones Petri, attribuite a Pepo stesso, ma con molti dubbi. Si tratta di una raccolta di pezzi del CJC scelti in quanto “conformi alla giustizia”: il compilatore sottopone, cioè, al proprio giudizio morale le norme giuridiche scegliendo liberamente quali usare e quali no.

A cura di Chiara Casuccio

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Scusi se appongo qui la domanda professore.
Non mi è ben chiaro cosa sia la firmitas, ovvero se costituisca il documento notarile in se o la semplice firma delle parti (mentre mi è ben chiaro il suo valore probatorio). Potrebbe aiutarmi nella comprensione ? grazie mille

Emanuele Conte ha detto...

La firmitas è un valore giuridico, che si può tradurre come la stabilità degli assetti giuridici: sia di quelli consolidati dal lungo tempo sia di quelli che si producono con i negozi traslativi di diritti. Nella società dell'Alto Medioevo il problema principale era l'incertezza dei diritti, perciò il sistema notarile si afferma perché offre un appiglio per rispondere a questa certezza. La carta diventa sempre più importante perché certifica un certo assetto. Si redige quando si compie un negozio, e quindi si tende a considerarla necessaria per la perfezione di quel negozio, attribuendo alla forma scritta un valore costitutivo dei nuovi diritti che si creano. Ma in realtà il momento in cui questo valore risalta è quello processuale, quando la carta compare come mezzo di prova di un diritto che ormai si è costituito.

Anonimo ha detto...

grazie mille professore