giovedì 30 novembre 2017

Lezioni del 29 novembre. Umanesimo giuridico

Nel panorama di innovazioni culturali, politiche e sociali che ieri abbiamo analizzato, si inseriscono ulteriori elementi di novità. Il primo è rappresentato dalla crescita degli Stati nazionali conseguente alla stagione delle esplorazioni e scoperte geografiche: tale novità porterà infatti ad uno sviluppo del diritto, soprattutto commerciale, resosi necessario per rispondere alle esigenze di una realtà economica che non era più legata, come in passato, al mero sfruttamento della terra ma sempre più al commercio “su larga scala”. Alcuni esempi di ciò possono ravvisarsi nel perfezionamento della fattispecie contrattuale commerciale o nella creazione di quella dell’assicurazione di viaggio.
Le esplorazioni furono agevolate e sovvenzionate dagli stessi Stati nazionali, come nel caso della spedizione di Colombo, finanziata dalla corona di Spagna.
Il regno spagnolo, infatti, rappresentò la più grande potenza europea del XVI sec., soprattutto quando le corone spagnola ed imperiale vennero riunite nella persona di Carlo V, il quale si trovò a regnare su un impero sterminato: Spagna, Americhe, centrale e del Sud e Impero Austriaco -comprensivo anche dei Paesi Bassi-. La presenza in Europa di questo grande potere e la novità introdotta con la conquista spagnola dell’America, a cui vanno aggiunte, per ragioni di completezza, la trasformazione della mentalità susseguente alla “rivoluzione dell’Umanesimo” e alla riforma protestante, suscitarono l’interesse del dibattito non solo politico, ma anche giuridico, filosofico e religioso attorno ai problemi del rapporto tra morale e diritto.
 In questo quadro si inseriscono le elaborazioni dottrinali della scuola teologica di Salamanca, centro vivissimo di studio del pensiero di S. Tommaso d’Aquino, sede, per tale ragione, della cd “seconda scolastica”. Nella Spagna cattolica dei secoli XVI e XVII al centro della discussione teologica e poi anche giuridica degli intellettuali del tempo fu posta la questione della dimensione etica del diritto e, in particolare, del trattamento e dei diritti delle popolazioni conquistate dalla corona spagnola nel nuovo mondo.
Attorno al tema della legittimità della riduzione in schiavitù degli indios si registrano due posizioni opposte: l’una, esemplificata dal pensiero di Sepulveda, giustifica i soprusi sulla base di un ragionamento di stretto formalismo giuridico, l’altra, che trova la propria formulazione più completa nel pensiero di de Las Casas, condanna la schiavitù affermando il principio per cui esistono dei diritti fondamentali della persona in quanto umana la cui creazione non deriva da una concessione fatta dallo stato ma è insita nella natura stessa intesa come fatto naturale – e non più come astrazione, anch’essa, dell’ordinamento. In tale prospettiva i conquistadores si resero colpevoli di delitti contro l’umanità. Tale visione del mondo influenzò il pensiero di molti intellettuali olandesi durante la temporanea riunione del potere imperiale e della spagnola nelle mani di Carlo V: la naturalità dei diritti al di là della forza normativa venne, ad esempio, affermata con decisione da Ugo Grozio, considerato il “padre” del pensiero giusnaturalista.
Al fine di una migliore comprensione è necessaria una prima analisi dei ccdd “8 caratteri” individuati dagli autori del manuale:
-       Filologiaà nel senso già descritto di “attenzione per il testo”, che, tuttavia, fatica ad entrare nello studio del diritto. Tale contrasto metodologico è ben stigmatizzato dalle opere rientranti nel genere della cd “Disputa delle arti”: opere di critica di umanisti, letterati e medici contro i giuristi e viceversa. La differenza dell’approccio giuridico è ben visibile nel confronto con la cultura medica capace di conferire al medico una spiccata capacità di risoluzione del singolo caso concreto a prescindere e oltre la meccanica applicazione di regole generali uguali per tutti. In campo giuridico si manifestano le prima istanze di semplificazione.
-       Secolarizzazioneà intesa come “dissacrazione della immutabilità e perfezione del diritto di Giustiniano”. La critica del testo giustinianeo investe dapprima le inesattezze frutto del sistema di copiatura e della tradizione metodologica medievale e, successivamente, si spinge fino al contenuto sostanziale della compilazione stessa: il Digesto è, infatti, un’enorme “raccolta di frammenti “estirpati” delle proprie sedi naturali, e cioè le opere degli antichi giureconsulti della Roma classica. Ad esempio, Francois Hotman nella sua opera “Anti Tribonien” critica Triboniano su due diversi fronti: da un lato per aver composto il Digesto tagliando ed incollando pezzi di opere di giuristi differenti aveva di fatto “condannato a morte” le opere originali dei giuristi di epoca classica, dall’altro per l’architettura sistematica del Digesto e del Codex non seguiva un’organizzazione razionale della successione delle materie. Con Hotman si hanno, infatti, le prime istanze per una razionalizzazione delle materie.
-       Argumentaà per cui valgono le considerazioni svolte nella lezione precedente.

-       Problema di metodo dell’insegnamentoà tale “carattere” attiene alla tradizionale contrapposizione trai due nuovi approcci al diritto: quello di vecchio stampo universitario che prese il nome di Mos Italicus, e quello caratterizzato dallo spirito di critica filologica del testo di legge, conosciuto come Mos Gallicus.
Il “primo filone” di azione dei giuristi umanisti, insieme alla sistematica, fu, infatti, quella della critica filologica delle fonti.  Lo studio filologico e, per così dire, “antiquario” comincia ad introdurre nello studio del diritto la visione storica degli istituti e dei testi, solo grazie al distacco acquisito per il tramite della consapevolezza storica, e al distacco dal testo che ne deriva è possibile nutrirsi del testo stesso, studiandone i principi costruttivi per, tuttavia, creare da questi un novum, diverso e attuale, più attinente alla realtà concreta. Tale approccio, figlio della nuova mentalità umanista è uno degli effetti della modifica del corso di studi preuniversitari, della formazione nelle scuole e del modello educativo in genere. Nel corso del secolo si assiste, infatti, alla creazione di scuole umanistiche improntate allo studio del latino e del greco per la costruzione di un bagaglio di conoscenze classiche da mettere a servizio delle esigenze della società attuale. È proprio lo studio profondo delle lingue antiche che suscita nell’intellettuale quello spirito tipicamente filologico del dubbio che lo spinge a non fidarsi della traduzione data –  e molto spesso distorta- del testo. Tale modello venne ripreso anche dalla scuola gesuita istituita da S. Ignazio: il Collegio Romano.
 Uno dei più grandi esponenti della filologia giuridica del cinquecento fu Andrea Alciato, giurista italiano trasferitosi in Francia a seguito delle critiche mossegli dai suoi colleghi dell’università italiana. Egli ricevette una formazione umanistica tale da renderlo un grande conoscitore delle lingue greca e latina. Effettuò annotazioni critiche al Corpus, soprattutto al Digesto ed ai Tres Libri, data la sua passione per le istituzioni antiche. Si occupò di ricostruire il testo originale del Digesto reinserendovi, grazie all’ausilio dei manoscritti antichi, le parti in greco che i copisti medievali avevano eliminato. Il nuovo modo di approcciarsi ai testi di cui Alciato è espressione è alla base del rinnovamento del diritto moderno; si cominciò a comprendere la profondità storica delle fonti, soprattutto romane, e la loro differenza con il diritto attuale.
 Il suo insegnamento si diffuse soprattutto in Francia. Alcuni suoi seguaci si occuparono, per primi, di storia del diritto oltre che di filologia. Tra questi ricordiamo Jacques Cujas (1522-1590) o Cuiacio. Egli cercò di ricostruire la dialettica storica delle fonti romane, dando rilevanza a fonti diverse dal Corpus, come per esempio il Codice Teodosiano.

Francois Connanà grazie all’atteggiamento di critica distaccata e di perenne dubbio costruttivo sopra descritto analizzò l’uso di una parola greca utilizzata nello studio del contratto: synallagma, tradizionalmente identificato, in via del tutto erronea con la parola “accordo”, giacché, si diceva, il il contratto trae la propria forza vincolante da esso. Connan, studiando sulle fonti greche aristoteliche identificò, invece, correttamente la parola come “proporzione”: il contratto non è tale perché vi è un incontro di volontà ma perché la volontà ricade su una proporzione dei vantaggi che le parti ricevono dal contratto

-       Esigenza del sistema:Jus in artem redigere”. L’abbandono dell’accettazione acritica della struttura compilativa romana diede adito all’idea di poter progettare un sistema razionale di descrizione degli istituti giuridici dal quale si incominciò a dissociare la descrizione del processo, considerato il cd “momento patologico” del rapporto giuridico sostanziale. Il modello ritenuto più affidabile e razionale, su cui improntare la nuova ricostruzione del sistema fu Gaio, giurista di età classica. La sistematica si afferma, così, come modo ideale di apprendimento del diritto: è necessario che il giurista abbia una “visione d’insieme dell’ordinamento giuridico”; egli deve avere conoscenza di tutte le branche del diritto anche di quelle da cui non potrà trarre alcuna utilità. Questa disciplina mentale, prima che didattica, diventò ben presto un elemento tipico della sistematica tedesca.
Tra i “campioni della sistematica giuridica” è sicuramente da ricordare Ugo Donello Huges Doneau (1527-1591) che, abbandonando il modello di conoscenza “per avvicinamenti mediante contrasti” tipico della dialettica e scolastica medievali, adottò un metodo di descrizione dei concetti analitico ed armonico, fondato sulla descrizione dei concetti generali e poi particolari..
Nella corrente dell’Umanesimo giuridico si distinguono, tradizionalmente, due generazioni: la prima à corrispondente alla prima metà del 500: Alciato Budeo, Zasio
La seconda à  il cui principale esponente è Donello.
Merita una menzione a sè anche Jean Bodin giurista umanista che scrisse opere di diritto pubblico come la “Republique”, non tralasciando opere si sistematica sulla scia dei grandi commentari di Doneau.
-       Compendia e Tractatus: sono opere monografiche dedicate ad un solo tema. Sebbene negli anni in esame si assista ad un incremento di tale letteratura, tale elemento non rappresenta una vera e propria innovazione dell’umanesimo, essendo piuttosto legato alle ricordate esigenze di semplificazione.
-       Mito della brevitas e del ritorno alle fontià anche tale elemento è legato alle istanze semplificatorie e di controllo delle fonti nate dalla grande confusione e prolificazione dei testi che si ebbe con l’invenzione della stampa che di fatto impedivano la selezione degli argomenti. Ulteriore elemento di complicanza fu il nuovo andamento casistico della letteratura giuridica nato con la nascita dei grandi tribunali cenrali. Tutto ciò portò alla formazione di di opere in ordine alfabetico che facilitavano l’approccio al testo mediante una semplificazione della ricerca: prolificarono così le enciclopedie, e i dictionaria iuris. Tali strumenti di gestione della complessità crescente, tuttavia, vennero principalmente prodotti nell’ambito del Mos Italicus.
-       Centralità del testo e ruolo dell’interprete. Protagonista del meccanismo intellettuale di comprensione diviene il lettore che propone una lettura originale del testo.

L’Umanesimo giuridico, con le istanze su richiamate, apre la strada verso la codificazione: comincia a farsi strada l’idea che la sistemazione del diritto debba avvenire non più attraverso gli sforzi dottrinali ma dal potere centrale stesso. In quanto assoluto è lo Stato nazionale, detentore del potere legislativo, a dover provvedere alla progettazione di un sistema razionale di istituti giuridici.
In fondo, questo modo di guardare alla scuola culta francese rispecchia le due visioni del diritto che si affermarono nell’Ottocento, il secolo in cui nacque la storia del diritto: da una parte c’era il modello francese, di stampo illuminista tendente alla codificazione: ricorrendo allo strumento codicistico si tentò di semplificare, razionalizzare e riadattare vecchi istituti giuridici per poi imporli alla collettività promulgando il codice mediante la legge; gli si opponeva il modello tedesco, di segno opposto, che postula un ampliamento della formazione storica del giurista in grado di sostituire la codificazione, usando le fonti del diritto civile romano. Questo dualismo ottocentesco si “specchiava”, per così dire, nella ricostruzione del Cinquecento francese, che puntava da una parte alla razionalizzazione e alla nazionalizzazione del sistema, dall’altra alla profonda conoscenza storica del diritto romano.
A cura di Chiara Casuccio


5 commenti:

vdr ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Anonimo ha detto...

Buonasera professore, non mi è ben chiara una cosa. Abbiamo detto che ci sono due approcci al diritto, il mos gallicus e il mos italicus. Inoltre, ci sono due generazioni di umanisti: alla prima appartengono Alciato, Zasio e Budeo; alla seconda appartiene Donello, ed è fatta per lo più di francesi.
I due filoni (da quel che ho capito, concernenti il mos galicus) quali sono? Il primo è il filone filologico-storico, ma l'altro?
La ringrazio anticipatamente

Anonimo ha detto...

L' altro è il filone sistematico. Invece professore non mi è chiara l' appartenenza delle due generazioni di giuristi ai due filoni del mos gallicus. Chi faceva parte dell' uno e chi dell' altro? La ringrazio anticipatamente

Anonimo ha detto...

Professore, le faccio qui una domanda che non riguarda propriamente le cose spiegate nelle ultime lezioni, ma che comunque non mi sono chiare per una visione di insieme. noi abbiamo detto che l'umanesimo apre ad un nuovo approccio metodologico nello studio delle fonti, diverso rispetto a quello delle scuole che avevano caratterizzato i due secoli precedenti, ma a ben vedere se si segue un andamento cronologico del susseguirsi delle varie scuole, non si può dire che con i glossatori si riscoprono dopo secoli i testi normativi quali il CJC e quindi ci si approccia ai testi rimanendo legati alla lettera (anche se interpretandola erroneamente per causa della visione necessariamente non di insieme del contesto storico in cui erano state scritte), con i commentari a partire dalla loro attenzione verso la ratio delle norme e al procedimento analogico ci si allontana invece dal legame con la lettera, e poi con l'umanesimo si combinano in parte questi elementi in quando si ha un approccio critico alla lettera?
e altra cosa non ho ben capito quale scuola utilizzava l'argomentum ab auctoritate, mi sembra che possa ricondursi al momento in cui i canonisti iniziano a raccogliere le decisiones della sacra rota, ma probabilmente mi sbaglio, ho solo capito che questo procedimento viene criticato dall'umanesimo. grazie e scusi per la lunghezza e l'orario.

Emanuele Conte ha detto...

La risposta alla prima domanda è corretta. Quanto ai giuristi e alla loro tendenza verso uno o l'altro indirizzo, considerate che Alciato e Budé (prima generazione) sono soprattutto filologi perché risentono del clima dell'umanesimo quattrocentesco, così come Cujas, che è il campione della filologia giuridica. Invece il principale esponente dell'indirizzo sistematico è Hugues Doneau. Il Connan mescola un po' le due cose (come del resto tutti) perché usa la filologia per innovare l'interpretazione. Hotman spinge per un rinnovamento anche legislativo e il superamento della dipendenza dalla lettera del Corpus Iuris.
Sull'ultima domanda, molto articolate, si consideri che l'umanesimo, nella lettura di Cortese, è un ritorno alla lettera del testo, dopo che la pratica della ricerca della ratio e dell'analogia avevano spinto ad allontanarsene. L'argumentum ab auctoritate non concerne solo i canonisti, ma tutti i giuristi che sono ormai più attenti alla provenienza delle opinioni dei giuristi che alla lettera del testo normativo (ecco il bisogno di tornare al testo)