martedì 22 novembre 2016

lezione del 21 novembre 2016

Grazie al lavoro delle due scuole, nel XIII secolo si affiancarono due complessi legislativi che operavano all’interno del sistema dell’utrumque ius: il Corpus Juris Civilis ed il Corpus Juris Canonici, una raccolta solo lato sensu normativa, poiché il Decretum era stato trasformato in una sorta di Codice artificialmente dalla scuola, che aveva bisogno di un testo stabile su cui elaborare il sistema di congiunzioni di norme su cui si basava il metodo dialettico.
La scienza canonistica, poi, a partire dalla lettura del proprio Corpus, promosse l’integrazione di questo con i principi di diritto romano: gli strumenti intellettuali elaborati grazie all’approfondimento del diritto romano giustinianeo, infatti, rimanevano validi ed utili per tutti i giuristi, sia civilisti che canonisti. Nell’ambito di questa integrazione, tuttavia, la logica classica venne toccata fino a rimodularsi sulla base di quella cristiana e tipicamente medievale. Il canonista che realizzò a pieno questa integrazione fu Enrico da Susa, l’Ostiense.
Il Cardinale Ostiense fu anche uno dei principali fautori delle dottrine ierocratiche. Tali dottrine postulavano l’idea che il potere fosse stato conferito da Cristo, che in quanto Dio in terra ne era l’unico depositario, interamente al proprio vicario, il papa, ed era questi che, per delega, ne avrebbe potuto conferire parte all’imperatore. Esse si incrementarono nel corso del duecento, in concomitanza con i noti avvenimenti storici di duro conflitto tra papato ed il casato di Svevia, e raggiunsero la loro formulazione più compiuta con Bonifacio VIII, al secolo Benedetto Caetani, papa e giurista.
Bonifacio si rese autore di un codice, il Liber Sextus, la cui particolarità – a parte il nome-  risiede in ciò: accanto alle classiche decretali, cioè la parte generale ed astratta di una legislazione nata in ambito “casistico”, il papa vi inserì una serie di costituzioni, di norme, scritte e promulgate per il codice stesso. Da buon giurista, papa Caetani si preoccupò, così, di dare soluzione a materie che erano notoriamente oggetto di controversia tra i giuristi. Egli, inoltre, confermando la ricordata tendenza all’integrazione, chiese ad un professore di diritto civile, Dino del Mugello, di redigere il titolo De regulis juris per la costruzione di regole generali che potessero reggere il sistema del diritto canonico.
Proprio nel momento in cui le dottrine ierocratiche sembravano aver trovato conferma nelle vicende storiche di fine ‘200 e l’Europa tutta subiva il controllo del potere pontificio, si assistette alla tanto inaspettata quanto ingloriosa fine del sogno universalista della Chiesa. Il vero pericolo dell’universalismo pontificio, tuttavia, non si rivelò essere l’impero ma la suddivisione dell’Europa in regni, antichi alleati della sede romana. Si dice che fu proprio il re di uno di questi regni, Filippo di Francia detto il Bello, a determinare la fine del pontificato di Bonifacio VIII, il quale morì nel 1303, un anno dopo l’episodio noto come “schiaffo di Anagni”.
Bonifacio VIII fu l’ultimo papa a rappresentare la centralità e l’indipendenza della sede pontificia. Dopo questa rottura, infatti, lo spostamento ad Avignone della sede di Roma, che da sempre era sfuggita alle logiche di appropriazione da parte di poteri esterni, determinò il controllo diretto di essa da parte del regno di Francia. Il periodo di “cattività” durò dal 1309 al 1377 e si concluse con il grande scisma d’occidente, a cui pose fine definitiva il Concilio di Costanza 1414-1418.
Dal punto di vista giuridico, tuttavia, il periodo Avignonese fu una fucina di elaborazioni che toccarono temi di diritto, poi trasposte anche negli ordinamenti laici.
Una delle problematiche centrali fu quella riguardante la cd plenitudo potestatis. L’indagine si incentrò sui relativi limiti del diritto, inteso come complesso di norme in cui viene inserita la norma nuova, e della facoltà del legislatore di derogare a tale ordinamento.
Altra innovazione di questo periodo fu il riordinamento del Tribunale supremo della Chiesa. La costituzione Ratio Juris del 1331 fornì il tribunale della Sacra Rota di una nuova procedura e regolamentazione. Due furono le principali novità: la costituzione di un collegio giudicante i cui componenti venivano scelti tra giuristi di chiara fama e la procedura di decisione che prevedeva la delega del caso ad un magistrato referente il quale studiava la fattispecie, e la riferiva al collegio che doveva, a sua volta, approvarne la risoluzione. Il risultato fu l’elaborazione di sentenze particolarmente motivate in fatto e in diritto; questo rendeva più facilmente rintracciabili le rationes poste alla base della decisione, rispetto ad un passato in cui l’attività di motivazione giuridica della sentenza rimaneva esterna al giudizio, dovendosi ricercare nel consilium sapientis iudiciale dato al giudice-delegato della regalia sovrana da un giurista appositamente consultato.
L’esempio della chiesa fu seguito anche dai regni laici i quali si dotarono di Tribunali centrali sul modello di quello della Sacra Rota.
Il più famoso canonista del XIV secolo è Giovanni d’Andrea le cui opere rappresentano il punto di riferimento di tutte le dottrine dell’epoca. Una dei suoi lavori principali è il commentario all’opera di Guillaume Durand, Speculum Iudiciale. Questo era una raccolta in quattro libri di tutte le fattispecie che si potevano incontrare in ambito processuale, sia di diritto civile che di diritto canonico. Il francese, nello spiegare, per ogni fattispecie, che tipo di azione esperire e le linee sostanziali degli istituti coinvolti, aveva operato riportando pezzi di opere di giuristi a lui precedenti; Giovanni d’Andrea si preoccupò di identificare la paternità di ogni stralcio riportato.

Il Concilio di Costanza aveva, inoltre, introdotto tra le principali discussioni di diritto pubblico una nuova tematica: la questione della prevalenza del concilio sul papa – e la conseguente diversa concezione della derivazione del potere. Principale sostenitore della teoria conciliarista fu il canonista Francesco Zabarella.
A cura di Chiara Casuccio

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